lunedì, Settembre 15, 2025
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La tradizione marchigiana dello spirito: 155 anni di eccellenza distillatoria

Intervista a Mauro Meletti, quinta generazione alla guida della distilleria di famiglia: “Vogliamo crescere, e molto, anche attraverso la mixology”

Una data che ha segnato il destino dell’Italia coincide con la nascita di un’eccellenza imprenditoriale marchigiana. Il 20 settembre 1870 rappresenta una giornata memorabile per la nazione italiana, quella dell’acquisizione di Roma, che pochi mesi dopo sarebbe diventata capitale del giovane Stato unitario. Ma quella stessa data risultò determinante anche per Ascoli Piceno, dove Silvio Meletti diede vita alla sua azienda per realizzare e commercializzare il suo distillato d’anice.

Attualmente la storica manifattura, amministrata dalla quinta generazione familiare, si accinge a celebrare 155 anni con un assortimento di prodotti che, oltre all’anisetta originaria, comprende liquori come Caffè Meletti, amaro, fernet, punch e, più di recente, il gin. L’obiettivo aziendale è l’espansione, consolidando la riconoscibilità del brand in Italia e potenziando l’export già operativo in diversi Paesi. “Siamo una piccola azienda, ma in espansione. E vogliamo crescere ancora. Molto”, dichiara Mauro Meletti, che insieme al fratello Matteo e al cugino Simone perpetua una tradizione intimamente connessa al settore degli spirits e al territorio marchigiano.

L’intervista a Mauro Meletti

Quali sono i valori che ispirano Meletti in 155 anni di storia?
Siamo alla quinta generazione. Io, mio fratello e mio cugino abbiamo raccolto il testimone da nostro padre Silvio e nostro zio Aldo, grandi lavoratori con una incrollabile passione per l’azienda, che per noi rappresenta non solo la famiglia, ma anche un legame profondo con la nostra storia e il nostro territorio. È un’impresa familiare con una visione internazionale, che attraverso i suoi prodotti vuole raccontare Ascoli Piceno e le Marche.

Come vi dividete i ruoli in azienda?
Abbiamo sempre lavorato insieme in modo sinergico. C’è grande collegialità e affiatamento, grazie a una visione condivisa e a un impegno quotidiano fianco a fianco.

Quando è entrata in azienda la vostra generazione?
Matteo è presente da circa vent’anni, io dal 2014, e mio cugino è arrivato un anno fa. Abbiamo cominciato dal basso: imballaggi, linea di imbottigliamento, distillazione… Anche se ho iniziato a lavorare seriamente a 25-26 anni, in azienda ci siamo cresciuti. Era come casa.

Un ricordo che ti è rimasto impresso di quel periodo?
I più belli sono legati alle persone che hanno lavorato con noi: collaboratori che ci hanno trasmesso passione e attaccamento alla famiglia. Ricordo ancora gli operai che ci regalavano zollette di zucchero imbevute nell’anisetta… Persone di grande professionalità e umanità.

Quanti collaboratori avete oggi?
Meno di dieci. Siamo una realtà piccola, ma in costante crescita.

Quali sono le soddisfazioni più grandi legate all’azienda?
L’anno scorso abbiamo ricevuto da Wine Enthusiast il riconoscimento Spirit Brand of the Year 2024, assegnato da una giuria indipendente che seleziona i migliori brand mondiali presenti sul mercato americano. Siamo stati scelti come miglior distilleria, superando concorrenti da tutto il mondo. Ritirare il premio a San Francisco è stato un momento che ha dato senso a tanti anni di lavoro, sia in Italia che all’estero.

In 150 anni non sono mancati i momenti difficili.
Il più delicato fu negli anni ’90. L’attività era stata diversificata in più aziende, alcune delle quali poi chiusero. Io ero bambino, ma ho rivissuto quel periodo dai racconti di mio padre e mio zio, a cui va il merito di aver riorganizzato e rilanciato la distilleria.

La vostra famiglia gestiva anche lo storico Caffè Meletti, fondato nel 1907.
Sì, fu venduto nel 1991, ma resta un luogo speciale. Mi sento ancora a casa, anche se non è più nostro. Mi evoca tanti ricordi d’infanzia, con i nonni e mio padre. E poi, sull’insegna c’è ancora scritto “Meletti”.

Meletti ha sempre avuto un legame con l’arte.
Un legame voluto dal fondatore Silvio, che aveva un’estro creativo anche nella promozione del prodotto. Scelse i migliori cartellonisti italiani, come Marcello Dudovich. Per i 150 anni, nel 2020, abbiamo voluto continuare questa tradizione creando poster che arricchissero il patrimonio culturale dell’azienda e della città.

Come?
Ci siamo affidati a Riccardo Guasco, uno dei cartellonisti più affermati a livello internazionale, che ha realizzato un poster bellissimo ispirato allo stile grafico storico di Meletti. Abbiamo poi collaborato con Andrea De Santis, che ha ridisegnato l’etichetta del liquore al caffè e creato due nuovi poster per la nostra collezione. Perché, oltre all’eccellenza del prodotto, è fondamentale raccontarlo visivamente, evocandone la qualità.

Anche le etichette dei prodotti più recenti richiamano quello stile.
Cerchiamo sempre di mantenere un’estetica coerente con la nostra storia. Per il fernet e il gin, ad esempio, mi sono divertito personalmente a disegnare le etichette al computer, ispirandomi al nostro stile classico.

Quindi in azienda esprimi anche la tua creatività?
Sì, è una mia passione. Mi piace curare ogni aspetto del prodotto: dalla ricetta alla confezione, tutto deve comunicare esattamente ciò che vogliamo trasmettere.

Parliamo del gin, l’ultima novità in casa Meletti.
Lanciato lo scorso dicembre, è un London Dry nato da un progetto iniziato quattro anni fa. Abbiamo creato un distillatore e realizzato due gin per Sestili, storico locale di Ascoli, in occasione del suo 120° anniversario. Da lì è nata l’idea di creare un gin tutto nostro, che raccontasse la nostra storia.

Un mercato, quello del gin, ormai saturo.
È vero, ma non volevamo entrare per competere sul mercato, bensì per metterci alla prova e valorizzare la nostra capacità distillatoria. Nonostante la premessa, oggi il nostro London Dry ci sta regalando molte soddisfazioni e la ricetta che ho realizzato appassiona veramente tutti. 

E per il futuro? Quali sono i vostri obiettivi?
Crescere molto in Italia, dove il brand è ancora conosciuto. Non solo per l’anisetta: vogliamo posizionarci nella mixology con prodotti come amaro e liquore al caffè. È una strategia iniziata negli USA negli anni 2000, quando è cresciuto l’interesse per gli amari italiani. Ci siamo inseriti bene, anche grazie ai nostri importatori.

L’export è una parte importante del vostro fatturato. Vi preoccupa l’incertezza politica in USA?
Amiamo molto gli Stati Uniti e siamo fiduciosi di continuare a lavorare bene in quel mercato.

Che attività fate per promuovervi all’estero?
Tanti incontri B2B e partecipazione a fiere, che sono un ottimo volano. Il Bar Convent di Berlino è un riferimento in Europa. L’anno scorso, ad esempio, siamo stati a una fiera a Shanghai, dove abbiamo sviluppato nuovi contatti. Il merito della ricerca di nuovi mercati esteri è di Matteo.

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