Martini, il re dei cocktail. Tali e tante sono le storie, le leggende e le varianti legate al più classico dei classici della miscelazione, che l’argomento è stato oggetto negli anni di diversi libri. Qui ci limitiamo a sintetizzare gli elementi essenziali che hanno fatto il mito di questo drink, apparentemente semplice nella ricetta eppure considerato l’insidioso – e impietoso – banco di prova di ogni bartender.
La storia e il nome
Il ruolo del Martini Cocktail nella storia va ben al di là dei confini del bere miscelato. Secondo lo storico e scrittore americano Bernard De Voto, rappresenta “il massimo contributo americano alla cultura universale”. Lowell Edmunds, nel libro “Ed è subito Martini”, racconta che è “il cocktail che Roosevelt offrì a Stalin, che Krusciov definì ‘L’arma più micidiale degli Stati Uniti’, che costò al candidato Jimmy Carter una serie di perfide battute e corsivi ironici”.
Eppure, le origini di questa storia sono avvolte nel mistero, il che non fa che accrescere il fascino intramontabile di questo drink. Una delle ipotesi descrive il Martini come evoluzione – nella ricetta e nel nome – del Martinez, cocktail che sarebbe nato attorno al 1874 nell’omonima città californiana: secondo la leggenda, un minatore entrò in un saloon dopo avere trovato alcune pepite d’oro e, per festeggiare, avrebbe chiesto “qualcosa di speciale”. Il barman, tale Julio Richelieu, gli propose un drink composto da gin, vermouth (probabilmente rosso) e orange bitter, servito su ghiaccio tritato e sormontato da un’oliva a mo’ di decorazione. Il Martinez viene citato, con variazioni più o meno profonde rispetto alla ricetta originaria, in alcuni ricettari degli anni successivi, fra cui la terza edizione della mitica “The bartender’s guide or how to mix all kinds of plain and fancy drinks” del “professore” Jerry Thomas.
Ma è nella seconda edizione di “New and improved illustraded bartender’s manual” di Harry Johnson, nel 1888, che compare per la prima volta un cocktail chiamato Martini, basato su Old Tom gin, vermouth rosso, curacao, bitter, gum syrup e peel di limone. Il “Dry Martini” come lo conosciamo oggi viene invece proposto nel 1904 da Frank P. Newman, inglese trapiantato a Parigi, nel libro “American bar. Recettes des boissons anglaises et américaines”: la ricetta prevede parti uguali di gin e vermouth dry, angostura o orange bitter e il drink è servito con scorzetta di limone, ciliegia o oliva in base alle preferenze del cliente. E in una successiva edizione del libro, tre anni dopo, l’autore specifica che il vermouth è prodotto da Martini & Rossi.
Alcuni, del resto, legano proprio all’azienda italiana l’origine del nome del cocktail, ma c’è un’altra e più nota leggenda che lega in qualche modo all’Italia la nascita del Martini Cocktail, che sarebbe stato creato nel 1912 al prestigioso Knickerbocker Hotel di New York dal giovane barman Clemente Martini, originario di Arma di Taggia, nientemeno che per il miliardario Nelson Rockefeller, il quale lo avrebbe apprezzato a tal punto da incoraggiare egli stesso il barman immigrato dalla Liguria a dare il suo nome al drink.
La ricetta Iba del Martini Cocktail
Come detto, a dispetto dell’apparente semplicità della ricetta, il Martini è forse probabilmente il cocktail più difficile da preparare. Perché, come un abito elegante, un Martini deve essere “cucito su misura” sulle esigenze del cliente che lo ha ordinato: dry o extra-dry, shakerato o soltanto agitato, straight up o on the rocks, con twist di limone o oliva (o entrambi)… E naturalmente, deve essere rigorosamente gelato!
Questa la ricetta classica dell’International Bartenders Association.
Tecnica: Stir & Strain
Bicchiere: coppetta Martini
Ingredienti:
60 ml gin
10 ml vermouth dry
Garnish: twist di limone oppure oliva verde
Preparazione: mettere gli ingredienti in un mixing glass pieno di ghiaccio e mescolare bene, quindi versare, filtrando, nella coppetta Martini gelata.
Le varianti
Il Martini, lo abbiamo già detto, non è un semplice cocktail. È un mondo, anche a livello di varianti, alcune delle quali sono diventate esse stesse dei classici. Vesper Martini con la vodka al posto del gin, In and Out Martini (più secco), Gibson con cipollina in salamoia come garnish, Saketini col sakè… Sono solo alcuni dei possibili twist della ricetta originale. Troppi, per potercene occupare qui: ne parleremo, con ricette e altri particolari, in un prossimo articolo.
Il Martini in letteratura e al cinema
Ovviamente, il Martini vanta anche innumerevoli citazioni letterarie e cinematografiche. Ma quella che più ha contribuito all’iconografia di questo cocktail è senza dubbio legata alla saga di James Bond. In particolare nella versione Vesper, con la vodka, inventata dallo stesso scrittore Ian Fleming, creatore del personaggio di 007. Che, nel libro “Casino Royale” del 1953 (e nelle relative trasposizioni sul grande schermo del 1967 e 2006), detta la ricetta di questo drink nel momento in cui ordina al bartender di turno “un Martini Dry, in una grande coppa da champagne”, per poi aggiungere: “Solo un momento: tre parti di Gordon’s, una di vodka, mezza di Kina Lillet Blanc. Agitate molto bene fino a quando non sarà ghiacciato e poi aggiungete una grande scorza di limone. Capito?”.
E quando gli viene chiesto quale sia il nome del suo cocktail, Bond risponde “Vesper”, ispirandosi alla donna che ama (la prima “Bond girl” della storia, che poi lo tradirà). E conclude: “Una volta che l’avrai bevuto, non potrai bere nulla di diverso”. Non pronuncia invece la raccomandazione “agitato, non mescolato” (“shaken, not stirred” nella versione originale): questa comparirà per la prima volta nel romanzo “Una cascata di diamanti” del 1956.
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