Ascoli Piceno ospita un locale dall’atmosfera particolare: il Tiny Club, unico american bar della città caratterizzato da uno stile speakeasy. L’ambiente presenta illuminazione soffusa, un’ambientazione intima e sottofondo musicale jazz. Al suo interno si trova Raffaele Galanti, ventottenne dallo sguardo e dalla voce coinvolgenti, che vanta quattro anni di esperienza nel settore della miscelazione e da due anni gestisce questo locale dedicato a chi ricerca standard elevati nelle bevande, nell’arredamento e nell’esperienza conviviale.
Il Tiny Club
La struttura del Tiny Club si sviluppa su due spazi distinti. La prima area, caratterizzata da un banco realizzato in legno e marmo, riceve i clienti con riservatezza. La seconda zona, più riservata, evoca l’atmosfera di un soggiorno domestico. All’esterno è presente un dehor che durante le serate estive si popola rapidamente. La capienza interna è di 25-30 persone, mentre quella esterna può raggiungere il doppio. Si tratta di uno spazio progettato per favorire il comfort e permettere di consumare con calma.
La clientela è composta principalmente da residenti ascolani, mentre i visitatori esterni raggiungono il locale attraverso Google e Instagram.
La proposta
Al Tiny Club si bevono cocktail classici e rivisitazioni. Ampia la lista di Martini. Quanto al food, ci sono alcune proposte di appettizer fritti, olive ascolane in primis.
L’intervista
Com’è cominciata l’avventura del Tiny Club?
È nato da un’idea dell’architetto Fabio De Cesaris. Voleva creare un locale dallo spirito speakeasy, e ci è riuscito. Io ci sono arrivato poco dopo. Prima in sala, poi al bancone. Ora lo gestisco.
Il menù è cambiato molto in questi anni?
Abbastanza. Si ispira sempre al Savoy Cocktail Book ma le proposte variano. Oggi è diviso in quattro sezioni: classici storici, creazioni originali, proposte legate al territorio e una parte dedicata ai drink no-alcol, che sono sempre più richiesti.
Zero alcol e bassa gradazione: il futuro?
Cresceranno ancora, ma non diventeranno dominanti. Però oggi capita anche che tre su quattro clienti scelgano un drink analcolico. È una tendenza forte.
Cosa vogliono i clienti?
Cura. Cura nella preparazione, nella scelta degli ingredienti. C’è ancora chi vuole solo l’alcol facile, ma sempre più persone chiedono qualità. E capiscono quello che bevono.
Il cliente quindi oggi è più competente?
Sì. Anche “grazie” alle restrizioni imposte durante il periodo del Covid: molta gente ha iniziato a sperimentare a casa, ha studiato, ha confrontato. Ora arriva più preparata.
Come si fidelizza un cliente?
Parlando e raccontando. Se sai spiegare cosa c’è dietro un cocktail, se gli fai vivere un’emozione anche prima di berlo, il cliente torna.
Cosa mi dici di eventi, ospiti, serate speciali?
Non facciamo guest shift, ma tanti eventi privati: feste, presentazioni, musica. Da noi si può affittare il locale.
I social contano?
Molto. Turisti e gente di fuori se non ci sei su Instagram o Google, non ti trova. Anche le guide servono, ma per chi già cerca qualcosa di specifico.
Cosa serve per emergere in questo mondo?
Voglia di imparare. Sempre. E saper ascoltare, anche le critiche.
Hai una Bibbia, un riferimento?
I libri della Death & Co di New York. Codex, soprattutto. Mi ritrovo molto nel loro stile: pochi ingredienti, riconoscibili. Mi piace la miscelazione “spirit-forward”.
Il tuo distillato del cuore?
Il whisky, senza dubbio.
E cosa pensi del whisky italiano?
Mi interessa molto. Ad esempio, Segretario di Stato di Poli è un ottimo prodotto. Non ha nulla da invidiare agli scozzesi o giapponesi. Dobbiamo uscire dalla mentalità del “solo da lì”. La qualità può venire da qualsiasi parte.
Il tuo cocktail preferito?
Quello che devo ancora bere. Quando vado in giro cerco sempre qualcosa che non conosco. Ma se devo scegliere un classico, direiil Manhattan.
Che rapporto hai col tuo lavoro?
Lo amo molto. Anche se è totalizzante. Influenza tutto: vita privata, famiglia, ritmi. Ma dà tanto, soprattutto nei rapporti umani.
Vuoi una famiglia in futuro?
Sì. Magari con l’aiuto dei nonni… o rivedendo il ritmo di vita. Ma il lavoro mi piace, e non lo cambierei.
Cosa non ti ho chiesto che vale la pena raccontare?
Che tutto questo nasce da una passione. E da un’idea semplice: offrire qualcosa di autentico, raccontato bene, fatto bene. Anche solo un drink e un sorriso possono cambiare una serata.
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