martedì, Settembre 23, 2025
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J. Roger Speakeasy compie dieci anni: per l’occasione carta food e serate a tema

Nicole Cavazzuti ha intervistato Emanuele Beati, anima liquida del J. Roger Speakeasy.

Pioniere nell’introdurre a Parma la mixology di ricerca, il J. Roger Speakeasy ha celebrato in questi giorni il traguardo del suo decimo compleanno. Una pietra miliare importante, festeggiata con un’innovazione: dal 5 ottobre il locale estenderà l’attività anche alla domenica, dalle 19 a mezzanotte, con un orario studiato per un pubblico più rilassato.

“La domenica è un esperimento”, spiega Luca Tesser, titolare e bar manager del J. Roger Speakeasy. “Abbiamo aggiunto una proposta food e anticipato l’orario alle 19. Per i dieci anni abbiamo rivisitato i cocktail che hanno fatto la storia del locale. E non basta: un’altra novità sono i mercoledì educational: due appuntamenti al mese dedicati alla storia della miscelazione, degustazioni e class room”.

In questo modo il J. Roger Speakeasy celebra il suo decimo compleanno, confermandosi punto di riferimento della mixology di ricerca a Parma. Ma dietro al bancone, accanto a Tesser, c’è anche un’altra anima che merita attenzione: quella di Emanuele Beati, che qui lavora da due anni e che ha un percorso decisamente da raccontare.

SEI MESI IN QATAR 

Emanuele Beati, hai lavorato in Qatar. Sì. È stata decisamente un’esperienza intensa. Sei mesi dedicati completamente al mestiere. Mi hanno assoldato per una nuova apertura e i primi trenta giorni sono stati un training serrato: degustazioni, studio di ricette, perfezionamento delle tecniche, ogni dettaglio, mise en place curatissima. C’era pure un laboratorio per le preparazioni, cosa che in Italia capita molto di rado. Lì si macinavano le botaniche e si studiavano i preparati come in un laboratorio chimico.

Cosa hai appreso in Qatar? Che il barista non improvvisa, ma interpreta. E che il pre-batch è consigliabile solo con i cocktail carbonati. Meglio fare il drink dal vivo.

Ma che cosa si beve in Qatar? Nonostante sia un paese musulmano, la clientela dei bar è internazionale — espatriati, turisti — e quindi c’è una forte domanda di cocktail alcolici.

E quanto si guadagna in Qatar? Lo stipendio base è di 1.500 euro, più mance importanti — nel primo mese circa 800 euro nette — e altri cento per gli alimenti. L’alloggio era incluso.

IL PROGETTO PERSONALE — VERMOUTH

Veniamo al presente. Da due anni ormai sei al J. Roger dove usate anche il tuo Vermouth. Ce ne parli? È un progetto indipendente, al di fuori del J. Roger, ma che dialoga con il bar: alcune mie produzioni finiscono nei drink del locale. È un Vermouth che ho voluto legare al territorio di Parma. La base è una Malvasia di Parma, fortificata con artemisia, cannella, patchouli, arancio amaro, arancio dolce, camomilla, fava tonka.

Quindi è un Vermouth di Parma? Sì, lo scopo era proprio valorizzare il vino locale, le atmosfere, i profumi del nostro territorio.

LA FILOSOFIA DI MISCELAZIONE AL J. ROGER

Qual è la filosofia di mixology del J. Roger? Parole chiave da noi è coerenza. Per esempio, non proponiamo cocktail a base di vini frizzanti: nessuno Spritz qui, non perché non sia popolare, ma perché non ci appassiona proprio quel tipo di bevanda — e non teniamo bollicine nel locale. Uso il vino come materia prima da trasformare: strumenti come ossidazioni, invecchiamenti, affinamenti. E considero prodotti come Sherry, Porto e Marsala ingredienti validi e di carattere. Cerco un equilibrio che sorprenda ma che abbia radici.

Un drink emblematico? Il “Jay Astor”. È un cocktail che amo molto. Base di marsala semi secco — morbido, delicato — combinato con shōchū (un distillato giapponese di riso e malto), rabarbaro e arrack (un distillato di palma da cocco). È un incontro di mondi: Sicilia, Giappone, Oriente mediorientale.

Da pochissimo avete lanciato la carta food. Abbiamo introdotto quattro proposte sfiziose, tra cui la tartare di fassone con senape in grani a parte e il cous cous di verdure, tutte tra i 7 e i 10 euro.

La tua ambizione? Continuare a sperimentare. Far crescere il Vermouth, magari avere più produzioni locali, informare il pubblico su cosa c’è dietro un buon cocktail — non solo gusto, ma storia, materia prima, cura. E portare il J. Roger sempre più a essere un luogo dove si incontrano qualità, bellezza e originalità.

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