venerdì, Dicembre 27, 2024
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Intervista a Luca Bruni, campione italiano della Diageo World Class

Un’annata ricca di soddisfazioni, per Luca Bruni, 34enne head bartender dei locali rietini Depero e di Tukana a Rieti e da oggi impegnato nelle finali mondiali della Diageo World Class che si tengono a Shanghai, dopo essersi aggiudicato lo scorso giugno la finale italiana.
Ad aprile Bruni si è imposto anche nella finale globale di The Vero Bartender di Montenegro e il 30 settembre debutterà nel ruolo di giudice della Spiritosa Cocktail Competition nell’ambito di Spiritosa Festival – in programma da sabato 28 a lunedì 30 al Castello Volante di Corigliano d’Otranto (Lecce) – accanto a grandi nomi della mixology nazionale.
Già il fatto di partecipare per la prima volta a una competizione in veste di giurato, anziché di concorrente, mi fa una certa impressione: sarò in grado di valutare altri ragazzi come me che si mettono in gioco nella gara?”, ci racconta Luca Bruni nell’interivista e prosegue: “Di certo, per me è un onore essere nella giuria della Spiritosa Cocktail Competition insieme con personaggi del calibro di Diego Melorio, che peraltro ho già avuto modo di conoscere, di Antonio Parlapiano e di tutti gli altri, per i quali ho grandissima stima“.

A Spiritosa Festival parteciperai anche a un panel incentrato sulla creatività nella miscelazione: che cosa significa creatività, per te, nel lavoro del bartender?
Personalmente parto sempre dall’esperienza che voglio far vivere al destinatario, che sia il cliente dei locali in cui lavoro o il giudice di una competizione. Mi spiego, sono convinto che a restare in mente, ancor più del sapore del drink, sia l’esperienza nel senso complessivo del termine, quindi accoglienza, servizio, ambiente e ovviamente presentazione e equilibrio del drink. Parto da un concetto per sviluppare un cocktail attraverso la ricetta, il nome, la presentazione, sempr tenendo conto che un bar è fatto non solo da ciò che vi si beve, ma anche dalla sua identità, dal design, dall’atmosfera, dalla musica, dalle luci dalle altre persone che lo frequentano e che vi lavorano e lo stesso drink fa parte di questo contesto. 

Questo significa che il concetto di creatività va declinato in base al contesto in cui si opera?
Esatto, è essenziale rapportarsi al mercato di riferimento, quindi al locale in cui si lavora, alla città in cui si trova, al pubblico che lo frequenta. Quella che può essere un’idea “wow” in un bar, potrebbe non avere alcun senso in un altro. La creatività deve nascere sulla base di ciò che vuole la persona che abbiamo davanti: così, in uno street bar dai grandi volumi, l’esperienza non potrà mai essere un’immersione multisensoriale fra abbinamenti a garnish elaborate, vaporizzazioni e quant’altro, ma magari sarà semplicemente mettere il cliente nelle condizioni migliori per passare un bel momento, servendogli un buon cocktail nel più breve  tempo possibile. 

Quanto conta l’aspetto di un cocktail nel determinare il suo successo? 
Molto: spesso il cliente ordina un cocktail perché lo ha visto al tavolo vicino ed è rimasto colpito dalla sua presentazione. E se poi è anche buono, difficilmente lo dimenticherà. 

Però un cocktail elaborato e curato anche nella presentazione richiede tempi di preparazione più lunghi…

Vero, ma in certi casi può aiutare il ricorso al pre-batch. Per il gruppo di locali con cui lavoro a Rieti – il Depero, american bar di ispirazione futurista basato su liquoristica e miscelazione italiane anni ’20 e ’30, e il Tukana, format innovativo di tiki bar reinterpretato in chiave minimalista – mi occupo di preparare in anticipo i cocktail così i ragazzi al bancone abbiano il tempo di dedicarsi alla presentazione del drink con cura. Questo garantisce un servizio impeccabile in termini di velocità, stabilità e presentazione della miscela.   

Quindi sei sostenitore del pre-batch in miscelazione? 
Sono sostenitore di tutto ciò che possa migliorare l’esperienza del cliente. Quindi, laddove questo significhi servirlo senza attese eccessive, ben vengano i pre-batch. Poi certo, come dicevo poc’anzi dipende sempre dal contesto: ci sono locali – penso ad esempio a uno speakeasy in stile anni ’30 – in cui il rito della preparazione del cocktail da parte del bartender, fra distillati, jigger, bar spoon e shaker è parte dell’esperienza ricercata dai clienti al bancone, in questi casi quindi il pre-batch non sarebbe una buona idea. Senza contare che non tutti i bar possono permettersi di avere una persona che se ne occupi quotidianamente. 

Creatività, in un cocktail, passa anche dalla scelta del bicchiere. 
Anche qui, dipende dal contesto. Un bicchiere creativo realizzato in stampa 3D può essere bellissimo e attirare l’attenzione del cliente, ma non in un locale dall’impostazione classica. Oggi, peraltro, una delle tendenze della mixology – mutuata dal mondo della ristorazione  stellata – è quella del “less is more”, che ha portato bicchieri di scuola asiatica in vetro sottilissimo e leggerissimo: estremizzando questa tendenza, potremmo arrivare a una caratterizzazione estetica del cocktail data semplicemente dalle linee del bicchiere e dal colore del drink.

Testo a cura di Nicole Cavazzuti e Stefano Fossati

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