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Spicy Fifty: il cocktail d’autore che celebra l’equilibrio perfetto tra dolce e piccante

Nel panorama dei cocktail ufficiali dell’International Bartenders Association (IBA), lo Spicy Fifty occupa una posizione particolare: non tra i più celebri, ma certamente tra quelli con la firma più prestigiosa. A crearlo, vent’anni fa, fu Salvatore Calabrese, detto “The Maestro”, uno dei bartender oggi più famosi a livello mondiale. Questo drink a base di vodka, peperoncino, fiori di sambuco e miele si distingue per essere fresco, con note leggermente piccanti ma al tempo stesso morbido ed equilibrato.

La nascita al Salvatore at Fifty

Italiano di nascita e londinese d’adozione, Salvatore Calabrese inaugurò nel febbraio 2005 il suo Salvatore at Fifty, raffinato cocktail bar all’interno del Fifty, club e casinò aperto ai soli soci nell’elegante quartiere di St. James. Tra i signature della prima drink list figurava lo Spicy Fifty, così chiamato per richiamare il piccante del peperoncino e il nome del locale.

Calabrese raccontò di essersi ispirato alla cucina di Jean George Vongerichten, chef stellato francese che, per il ristorante Rama (proprio di fronte al Fifty), aveva creato un menù ispirato alla tradizione della cucina thai, speziata e piccante.

L’influenza del MyZo

È probabile che, almeno inconsciamente, The Maestro sia stato influenzato anche dal MyZo, cocktail con cui qualche mese prima Myles Cunliffe, all’epoca giovane bartender del Brownes Bar and Restaurant di Brighton, si era aggiudicato la terza posizione nella UKBG Cocktail Challenge, competizione sponsorizzata da Stolichnaya Vodka i cui vincitori furono premiati proprio da Calabrese.

Rispetto al MyZo, il “tocco da The Maestro” del bartender italiano sta nelle diverse proporzioni degli ingredienti e soprattutto nell’aggiunta del miele, essenziale nel conferire allo Spicy Fifty quel perfetto equilibrio di gusti fra dolcezza, acidità e piccantezza che ne fanno un cocktail beverino e piacevole.

Il successo immediato e duraturo

Il drink fu subito apprezzato dai clienti del club e non solo, tanto che la sua fama sopravvisse alla chiusura del Fifty e del relativo bar, avvenuta nel 2009. Lo stesso Calabrese, nel suo libro “Classic Cocktails” del 2015, descrive lo Spicy Fifty come “uno dei miei cocktail più venduti, uno dei miei drink più famosi e un classico moderno a pieno titolo”.

La ricetta IBA ufficiale

L’IBA ha incluso questo cocktail nella sua codifica ufficiale in occasione della revisione del 2020, come tributo non soltanto alla qualità del drink, ma anche all’autorevolezza del suo creatore.

Tecnica: Shake and Double Strain
Bicchiere: coppetta a cocktail

Ingredienti: 50 ml vodka alla vaniglia, 15 ml cordiale ai fiori di sambuco, 15 ml succo di limone fresco (o di lime, nella ricetta originale di Calabrese), 10 ml sciroppo di miele (2 parti di miele e 1 di acqua, specifica Calabrese), 2 fettine sottili di peperoncino rosso.

Garnish: piccolo peperoncino rosso sul bordo del bicchiere

Le varianti dello Spicy Fifty

Alcune fonti indicano erroneamente come variante dello Spicy Fifty il MyZo, che in realtà è nato qualche tempo prima. Di fatto la ricetta è simile ma più tendente allo speziato, con 50 ml di vodka alla vaniglia, 25 ml di cordiale ai fiori di sambuco, 25 ml di succo di limone fresco e 0,5 cm di peperoncino jalapeño rosso, più un twist di limone per guarnitura.

Più o meno nello stesso periodo in cui Calabrese realizzò lo Spicy Fifty, dall’altra parte di Londra, al Che, Danny Smith creò il Fuego Manzana No. 2 (“mela di fuoco”, in spagnolo), inizialmente a base di rum, poi sostituito dal tequila. La ricetta prevede 60 ml di tequila reposado, 15 ml di apple schnapps (liquore alla mela), 30 ml di succo di mela o sidro di mele (torbido e non zuccherato), 15 ml di succo di lime fresco, 5 ml di sciroppo di zucchero “ricco” (2 parti di zucchero e 1 di acqua) e 2 fettine di peperoncino rosso, sempre con un piccolo peperoncino sul bordo del bicchiere come garnish.

Salvatore Calabrese: una vita da Maestro

La vita e la carriera di Salvatore Calabrese sembrano uscite da un romanzo. Nato nel 1955 a Maiori, cittadina sulla Costiera Amalfitana, nel 2026 festeggerà ben sessant’anni di carriera. Aveva solo 11 anni quando iniziò a lavorare nell’ambiente del bar, come ha raccontato lui stesso in diverse occasioni: “Ero un bambino un po’ ‘vivace’ e per tenermi lontano dai guai mio padre mi trovò un lavoro estivo all’Hotel Reginna”.

Qui, al bancone del bar, incontrò il suo primo maestro, il signor Raffaello: “Impeccabile, per me era l’Humphrey Bogart dei bartender. Come Humphrey Bogart nel film ‘Casablanca’, sapeva esattamente come trasformare in realtà i sogni di ogni cliente. E affascinava tutte le ragazze”.

Photo Credit: Facebook: Salvatore ‘The Maestro’ Calabrese

Dai sogni navali alla bartending

Calabrese sognava di diventare capitano sulle navi, ma un infortunio che quasi gli costò la perdita della vista all’occhio sinistro lo costrinse a lasciare la scuola navale e a fare tesoro di quanto aveva appreso dagli insegnamenti (e dagli scappellotti) del signor Raffaello e dalle esperienze estive nei bar della zona, per aiutare la mamma dopo la morte del padre.

A 18 anni si impegnò nella ristorazione e tre anni dopo era il più giovane maître della Costiera Amalfitana. Sempre qui, un’estate, iniziò la relazione con Sue, una giovane londinese giunta in vacanza con un’amica. Per stare vicino a quella che sarebbe diventata sua moglie, cominciò a lavorare in inverno a Londra, in un ristorante italiano, fino a stabilirvisi definitivamente nel 1980 (“Fu mia madre a convincermi”).

La svolta al Dukes Hotel

La svolta arrivò due anni dopo, quando fu assunto al bar dello storico Dukes Hotel, locale di grande prestigio ma con solo sei tavolini. “Non potevo lavorare sulla quantità, così puntai sulla qualità”. Come? “Ho sempre creduto nel marketing e il Dukes era un locale storico in una città storica, così ebbi la pazza idea di portare la storia nel bar”.

La Liquid History

Da quell’intuizione scaturì la sua famosa Liquid History, la storia liquida. Calabrese iniziò a studiare, a ricercare distillati antichi, rari e a volte unici. Il primo, un cognac Hine del 1914, lo vendette in una settimana a 25 sterline a bicchiere (negli anni ’80). Il pubblico apprezzò e il Dukes divenne un punto di riferimento per facoltosi appassionati in cerca non di un drink, ma di un’esperienza irripetibile: il fatturato del piccolo bar passò da 500 a 10mila sterline a settimana.

Il Martini perfetto

Al Dukes si trovò di fronte anche un cliente esigente che non era soddisfatto dei suoi Martini: non abbastanza secco o non abbastanza freddo. Provando e riprovando, cinque giorni dopo Calabrese gli servì “il Martini perfetto, super secco e super freddo”, in seguito noto come Direct Martini o Dukes Martini.

Quel cliente si rivelò essere il famoso scrittore di viaggi e giornalista americano Stanton Delaplane, che con i suoi articoli avrebbe reso famoso Salvatore Calabrese e il suo “Martini migliore al mondo”. Così buono da conquistare anche la regina Elisabetta II: “Un’appassionata di Martini, mi capitò di servirle spesso il mio cocktail durante alcuni eventi”.

Dal Library Bar al Playboy Club

Nel 1994 passò al Library Bar del lussuoso hotel The Lanesborough, dove i suoi collaboratori lo chiamavano rispettosamente “The Maestro”, soprannome che lo avrebbe sempre accompagnato da quel momento in poi. Qui inventò il Breakfast Martini (gin, triple sec, limone e marmellata d’arancia), ispirato alla colazione all’inglese preparata dalla moglie Sue (anche se lui ha sempre preferito iniziare la giornata con un italianissimo espresso).

Undici anni dopo, il primo locale tutto suo, il già citato Salvatore at Fifty che gestì fino al 2009, quando il dissesto finanziario del Fifty Club lo costrinse a chiudere: “Era una vera miniera d’oro – ricorda Calabrese – in 110 metri quadri potevo avere sia qualità che quantità”.

Clienti d’eccezione

Ormai celebre, fra i suoi clienti sfilavano politici e star dello spettacolo, della moda e dello sport, con alcuni dei quali nacque una vera amicizia. Stevie Wonder, per ringraziarlo del cocktail Champagne Wonder creato in suo onore, si esibì al piano per mezz’ora nel suo locale e alla fine si rivolse al bartender con un applauso: “Da un artista a un altro artista”.

Nel 2011 il patron di Playboy, Hugh Hefner, lo convinse ad aprire il Salvatore al Playboy nel Playboy Club di Londra, dove nel 2012 il bartender realizzò il cocktail che entrò nel Guinness dei primati come il più costoso (ma anche il più antico) al mondo: per 5500 sterline, il Salvatore’s Legacy era fatto con un cognac del 1778, un kummel (liquore al cumino) del 1770, un orange curaçao del 1860 e gocce di Angostura del 1900.

L’espansione globale

L’avventura al Playboy Club terminò cinque anni dopo, ma intanto Calabrese aveva iniziato a portare il suo nome nel mondo. Un marchio, Salvatore, che oggi identifica eleganti locali a Las Vegas come a Firenze o Hong Kong.

The Maestro ha pubblicato 14 libri (“Mi piacerebbe scriverne uno anche sulle persone che ho conosciuto al bancone, ma non lo farò: quello che accade nel bar, resta nel bar”) e recentemente ha realizzato un altro lussuoso cocktail da record, venduto a 36.990 euro in un’asta a Dubai.

Il vero segreto del successo

Ma il vero segreto di “The Maestro”, assicura lui, non è nell’arte di trovare distillati rari o creare cocktail perfetti ed esclusivi. Come ha ribadito in una recente intervista a Nicole Cavazzuti per Horecanews: “La differenza la fa l’accoglienza. Un drink perfetto non dice nulla se non sai leggere chi hai davanti. La tecnica si insegna. L’intelligenza emotiva, no. Quella si coltiva con il tempo”. E non è intelligenza artificiale.

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