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Angelo Azzurro: il cocktail delle discoteche anni ’80 tra nostalgia e mixology dimenticata

Dimenticato da almeno vent’anni l’Angelo Azzurro è stato un cocktail simbolo delle discoteche anni ’80 e ’90

Non è la prima volta che, in questa rubrica settimanale ci occupiamo di drink caduti nell’oblio. Ma se in altre occasioni lo abbiamo fatto per valorizzare ricette meritevoli di riscoperta, questa volta l’approccio è diverso: se riportiamo alla luce l’Angelo Azzurro è principalmente per narrare una vicenda curiosa e risvegliare la nostalgia in chi negli anni Ottanta e Novanta frequentava le discoteche, regno incontrastato di questo drink, più che per suggerirne la degustazione oggi. A meno che non vogliate verificare personalmente i progressi compiuti dalla mixology in quattro decenni.

La storia

Se appartenete alla generazione dei baby boomer o della Generazione X, probabilmente menzionare l’Angelo Azzurro significa fare un tuffo nel passato, in un’era di cocktail dai colori accesi, dal gusto zuccherino e fortemente alcolici, e di interminabili serate – ma anche pomeriggi – in discoteca, dove queste miscele dominavano. Nonostante l’enorme successo dell’epoca, le origini di questo cocktail sono rimaste a lungo avvolte nel mistero: secondo alcuni derivava dal Blue Lagoon, cocktail a base di vodka, blue curaçao, lime e soda al limone ideato tra gli anni Sessanta e i primi Settanta, forse a Parigi e forse da Andy MacElhone, figlio del celeberrimo Harry, presso l’Harry’s New York Bar. Altri ritenevano che il nome fosse ispirato all’omonimo film del 1980 con una giovanissima Brooke Shields (“Laguna blu” in Italia).

In realtà, consultando i manuali storici della mixology, troviamo un predecessore del Blue Lagoon (e quindi dell’Angelo Azzurro) già nel 1930, nel più volte citato “The Savoy cocktail book” del grande bartender Harry Craddock: si chiamava Blue Monday e, come l’Angelo Azzurro, presentava un’insolita combinazione di triple sec e blue curaçao, entrambi liquori a base di arancia, mescolati alla vodka (anche se in dosi più moderate, eccetto il blue curaçao). E qualcuno ricorda pure che a Milano, negli anni Settanta, circolava in alcuni bar un drink chiamato Acqua del Naviglio, anch’esso composto da gin, liquore all’arancia e agrume, ma di cui non esistono testimonianze scritte.

In ogni caso, nel 2020 un articolo del magazine Bartales, firmato Bastian Contrario, ha rivelato che a creare l’Angelo Azzurro nella forma in cui (purtroppo) lo conosciamo è stato nel 1980 il barman di origini napoletane Giovanni Pepè, soprannominato “Mammina”, per l’apertura dell’omonima discoteca gay di Roma. “C’era gin, triple sec (in quel caso Cointreau), blue curaçao e mettevo alla fine qualche goccia di limone”, ha poi raccontato lo stesso Mammina a Vice. Aggiungendo che “è nato in una coppetta martini, ma successivamente ho deciso di aggiungere la tonica e di servirlo in un highball. Beh, in effetti era un po’ fortino, ecco perché forse piaceva”.

Cocktail “da sballo”

Sì, perché negli anni Ottanta la preoccupazione principale non era che un cocktail fosse equilibrato o salutare, quanto piuttosto che producesse effetti inebrianti nel minor tempo possibile. Con ogni probabilità, quindi, fu proprio l’elevata gradazione alcolica, insieme al grande successo del locale in cui veniva servito, frequentato non solo dalla comunità LGBTQ+ per le sue serate divertenti e trasgressive, che l’Angelo Azzurro si diffuse in poco tempo in tutta Italia e anche oltre, magari favorito anche dalla sua irresistibile colorazione – ovviamente – azzurra (anche se Instagram non c’era ancora). Diventando uno dei simboli della “disco culture” fra gli anni Ottanta e Novanta, insieme con altri cocktail (in)dimenticabili come il B-52 (kahlúa, crema al whisky e Grand Marnier) o l’Invisibile (triple sec, vodka, rum bianco, gin, zucchero, limone).

Poi finirono gli anni Novanta, finirono le serate all’Angelo Azzurro (la discoteca, che chiuse dopo essere stata brevemente anche un punto di riferimento della cultura dark) e finì la moda dell’Angelo Azzurro (il cocktail) e degli altri drink “da disco” contemporanei, cancellati dalla renaissance della mixology che, con il nuovo secolo, ha riportato in auge la cultura del buon bere. Alla faccia di chi dice che una volta era tutto più bello.

Il nome

Il colore, naturalmente, ha ispirato il nome del drink, ma non solo. Per un drink nato in un locale gay è naturale pensare anche a un omaggio all’omonimo film del 1930 che consacrò Marlene Dietrich, diva dichiaratamente bisessuale che ebbe tantissime amanti donne (anche se mai ufficialmente confermata, avrebbe avuto una breve relazione anche con la rivale Greta Garbo). E che, sempre nel 1930, nel film “Marocco” fece scalpore per il bacio con una donna, fra le prime rappresentazioni di un bacio omosessuale nella storia del cinema.

La ricetta dell’Angelo Azzurro

Se avete letto fin qui questo articolo, non vi sorprenderà che l’International Bartenders Association (IBA) non abbia mai incluso l’Angelo Azzurro nella lista dei suoi cocktail ufficiali. Vi è entrato brevemente (nella seconda lista, dal 1986 al 1993) il Blue Lagoon, di cui può essere considerato una variante.

Se non lo avete mai assaggiato, con questa ricetta (tratta da Wikipedia) potete togliervi la curiosità. Oppure potete tranquillamente continuare a ignorare che sapore abbia e vivere felici.

Tecnica: Shake and Strain

Bicchiere: coppetta Martini (preventivamente ghiacciata)

Ingredienti:

  • 60 ml gin
  • 40 ml triple sec (Cointreau)
  • 10 ml blue curaçao

Garnish: scorza di limone o di lime

Le varianti

Non essendo mai stata codificata ufficialmente, la ricetta dell’Angelo Azzurro è stata variamente interpretata nel corso degli anni (molti lo realizzavano mescolando i tre ingredienti in parti uguali). Ma ci fu anche chi riuscì a… peggiorare le cose con il Bomba Blu, ovvero la versione long drink, servita in bicchiere Highball con l’aggiunta di 90 ml di limonata o gassosa.

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