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L’America dei cocktail racconta la sua lezione, 105 anni dopo il Proibizionismo

Dalla criminalità organizzata al boom della mixology, dalle parole di Al Capone al Martini di Roosevelt, un viaggio del bere legale (e illegale).

Il 16 gennaio 1920 entrava in vigore il Volstead Act, la legge che introduceva il Proibizionismo negli Stati Uniti con l’obiettivo di migliorare la società vietando l’alcol. Centosettantacinque anni dopo, l’industria del beverage osserva quel periodo storico con inquietudine, mentre si affacciano nuove tensioni regolatorie che fanno parlare alcuni di “nuovo proibizionismo”, anche se la situazione attuale appare profondamente diversa da quella del 1920.

La proibizione non eliminò il consumo di alcol, che semplicemente si nascose. Nacquero gli speakeasy, i cocktail furono reinventati per mascherare il gusto degli alcolici casalinghi, i gangster si arricchirono e la notte americana imparò a parlare sottovoce ma a bere con intensità. Il Volstead Act non vietava di bere, ma rendeva illegale produrre, vendere e trasportare bevande alcoliche, creando un mercato nero potente e pericoloso ma anche creativo.

Oggi il dibattito sul consumo di alcol è tornato centrale tra tendenze salutiste, normative più severe sulla guida in stato di ebbrezza e tensioni politiche. Tuttavia, non si può parlare di un ritorno al Proibizionismo in senso stretto: negli Stati Uniti non esistono piani concreti per vietare la vendita di alcolici o chiudere i punti vendita, nonostante le voci circolate nei mesi scorsi, né misure federali che limitino direttamente il consumo o la disponibilità di bevande alcoliche.

L’amministrazione Trump non è contraria all’alcol in sé, come dimostra la decisione di bloccare la pubblicazione di uno studio federale che indicava come anche un consumo moderato rappresentasse un rischio per la salute. Anche le richieste di maggiore chiarezza sui rischi attraverso etichette informative o avvertenze sanitarie sono rimaste in gran parte inascoltate o ridimensionate.

L’impatto più rilevante è arrivato dalle politiche commerciali: la minaccia dell’amministrazione Trump di imporre dazi fino al 200% su vini e spiriti importati dall’Unione Europea ha provocato incertezza tra produttori e distributori. Più che un ritorno al proibizionismo, si assiste a una dinamica fatta di pressioni indirette, omissioni strategiche e tensioni normative che influenzano percezione, vendita e regolamentazione dell’alcol negli Stati Uniti.

Gli speakeasy: dove il proibito diventava arte

Nei locali clandestini si entrava con una parola d’ordine, si beveva in silenzio, si ascoltava jazz e si assaggiavano cocktail nuovi, ideati spesso per coprire il gusto grezzo degli alcolici casalinghi. Era il trionfo della mixology primitiva: gin, sciroppi, succhi, liquori improvvisati. I ricchi riempirono le cantine, i club esclusivi continuarono a servire drink a porte chiuse, mentre la gente comune imparò a cercare il “bar dietro al bar”.

Tra gli strati più poveri della popolazione — afroamericani, immigrati, disoccupati — circolavano prodotti economici e letali. Il caso più famoso fu quello del “Jake”, uno zenzero giamaicano contaminato da una neurotossina che paralizzò agli arti inferiori decine di migliaia di persone. Nessun processo, poche indagini, molte canzoni blues a raccontarne la disperazione.

Il contrabbando e l’impero di Al Capone

Il business del contrabbando fiorì con rum caraibico, whisky canadese e gin artigianale. I boss della malavita costruirono imperi criminali. Al Capone, il volto del crimine organizzato, lo dichiarò apertamente: “Prohibition has made nothing but trouble”. Una frase che riassume la parabola di una legge che doveva ripulire la nazione ma la consegnò alla criminalità.

Mentre in America si proibiva, in Europa si creava. Al Savoy di Londra, Harry Craddock, barman americano in “esilio”, ideava drink destinati a diventare leggendari: il White Lady, l’Aviation, il Corpse Reviver. Non solo cocktail, ma atti di libertà liquida. Il bar diventava rifugio e laboratorio di stile.

Roosevelt e la fine del Proibizionismo

Il 5 dicembre 1933, Roosevelt celebrò l’abrogazione con un Martini, un gesto simbolico che segnò la fine di un fallimento. L’alcol tornò legale, ma l’America non fu più la stessa. Il bere aveva cambiato volto: meno saloon, più cultura del cocktail.

Tre cocktail nati durante il Proibizionismo

Il Bee’s Knees combinava gin, limone e miele, nato per coprire il sapore del gin illegale con un’eleganza da contrabbando. Il Mary Pickford, dedicato a una diva del cinema e creato all’Hotel Nacional de Cuba, mescolava rum, ananas e granatina. L’Aviation, con gin, maraschino, limone e liquore di violetta, appariva celeste come il cielo e come il sogno di fuggire da divieti assurdi.

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