C’è un modo di pensare l’abbinamento tra cibo e bevande che si sta affermando sempre più nella ristorazione a livello internazionale non come moda passeggera, né come semplice alternativa all’alcol, ma da vero e proprio linguaggio sensoriale che parla di stagioni, materie prime, creatività e rispetto.
Si chiama Juice Pairing e si può dire che negli ultimi anni ne ha fatta di strada. Tutto nasce nei templi dell’alta cucina scandinava, dove l’eccellenza non si misura solo in stelle Michelin ma nella coerenza con un pensiero gastronomico sostenibile e inclusivo.
Al Noma di Copenhagen, laboratorio di René Redzepi, l’abbinamento non alcolico è la norma. Estratti di siero di latte e cetriolo, succo di mela e germogli di pino, acetosella e nasturzio diventano protagonisti di un percorso che stimola e sorprende il palato.
Al Geranium, altro tristellato danese, a rendere possibile questo racconto in forma liquida è Giulia Caffiero, italiana trapiantata in Danimarca. Il suo ruolo? “Juice maker” – un mestiere che nel Belpaese ancora suona insolito ma che al nord è ormai un pilastro della ristorazione d’avanguardia.
Per lei con i succhi si può andare ovunque e vive il suo ruolo con l’entusiasmo di chi ha trovato nel pairing analcolico una vera forma di espressione creativa. Giulia agisce con precisione, in modo strutturato, ma anche con sensibilità. Ogni sua ricetta nasce da una ricerca, una sperimentazione, una stratificazione. Mela verde e timo, mirtilli e corteccia affumicata, finocchio e pomodoro, tutto si compone in armonie che accompagnano piatti, li elevano, li completano.
Anche in Italia, nonostante la tradizione enologica profondamente radicata, si comincia a guardare con interesse crescente a questa forma di abbinamento. Il Juice Pairing viene accolto con curiosità nelle cucine più attente al benessere, alla sostenibilità e alla creatività.
Sempre più ristoranti fine dining scelgono di affiancare alle tradizionali carte dei vini delle proposte analcoliche pensate con la stessa cura: succhi pressati a freddo, fermentazioni naturali, infusioni di erbe e botaniche locali.
Un cambiamento che risponde alle nuove sensibilità dei clienti, in particolare i giovani, sempre più attenti alla salute e desiderosi di un’esperienza gastronomica accessibile anche senza alcol, un trend che sta spingendo fortemente la crescita delle bevande analcoliche a livello mondiale.
Ma se c’è un piatto che può raccontare il juice pairing in modo semplice, immediato e sorprendente, quello è la pizza. Sì, perché anche il disco lievitato può essere nobilitato da abbinamenti liquidi creativi e analcolici e non parliamo del classico binomio pizza e birra, né tantomeno della più popolare pizza e Coca-Cola.
Il juice pairing con la pizza è un gioco di armonie, consistenze e contrasti che coinvolge tutti i sensi, un’esperienza pensata per pulire il palato, amplificare le note aromatiche e regalare nuove prospettive gustative.
Una Margherita ad esempio può trovare freschezza in un Virgin Mojito, dove lime e menta valorizzano il pomodoro e la mozzarella, una pizza affumicata o piccante può accompagnarsi perfettamente a un blend di ananas, mela e agrumi, mentre una base con formaggi intensi può essere bilanciata da un estratto al basilico e limone. La logica è sempre la stessa, quella di cercare equilibrio e valorizzazione reciproca tra cibo e bevanda.
Così, dal fine dining alle pizzerie creative, il juice pairing si afferma sempre più come una concreta opportunità per chef e ristoratori desiderosi di interpretare le nuove aspettative dei clienti, offrendo esperienze gastronomiche personalizzate, attente non solo al gusto ma anche all’accessibilità.
Un’evoluzione che si inserisce pienamente nell’epoca del boom del no-low alcol e di una crescente consapevolezza alimentare.
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