martedì, Giugno 17, 2025
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Alla scoperta dell’Old Cuban e di Audrey Saunders, la barlady che ha cambiato la mixology

Quando aveva poco più di trent’anni, nei primi anni ’90, Audrey Saunders lavorava spesso nei bar, ma non al bancone, bensì per fare le pulizie, assunta insieme all’allora marito in un’impresa specializzata in moquette e pareti. E sapeva già che il suo matrimonio era destinato a chiudersi. Ma, dentro, qualcosa le diceva che quella non poteva essere tutta la sua storia.

La scoperta della passione

Si rivolse così a Sam Barbieri, proprietario del Pete’s Waterfront Ale House di New York, un bar di un certo livello. Audrey non aveva esperienza, ma parlava con un entusiasmo che non si insegna. Barbieri, comunque, non la prese troppo sul serio: “Vai a fare un corso da bartender”, le disse. Sperava forse che si stancasse. Lei, invece, lo prese in parola, fece il corso e tornò all’assalto. Era il 1995 e Audrey si ritrovò dietro al bancone con le mani che tremavano. Non aveva mai usato una soda gun, quelle pistole che erogano bibite gassate. Però aveva vicino Cory Hill, bartender esperto e appassionato che, come il famoso collega Dale DeGroff, faceva parte del Red Meat Club, una specie di circolo di ristoratori e bartender che si riunivano a cena una volta al mese.

Hill, vedendo che la ragazza non mollava ma, anzi, sembrava più determinata ogni sera, le suggerì di seguire un corso alla New York University, tenuto proprio da DeGroff. Lei andò e passò quattro ore ad ascoltare parlare di cocktail del periodo pre-Proibizionismo, e quando la lezione finì andò alla cattedra, porse a DeGroff il biglietto da visita della sua impresa di pulizie e disse: “Lavorerò gratis. Voglio imparare”.

Il maestro Dale DeGroff

Dale non poteva assumerla, ma la coinvolse in lavori non retribuiti, mentre lei continuava al Pete’s e affinava le sue competenze. Fino a quando, quattro anni dopo, DeGroff la chiamò al suo Blackbird, un locale ideale per imparare. Lì, Saunders scoprì cocktail come il Negroni e l’Old Fashioned e, quando il Blackbird chiuse, fu coinvolta in un nuovo progetto: il Beacon, gestito dallo chef Waldy Malouf, sperimentatore in cucina e convinto sostenitore del food pairing, che le diede libertà completa per creare cocktail che si sposassero alla perfezione con i suoi piatti. E lei non deluse, iniziando a realizzare personali variazioni di classici. Fu così che nacque il Gin-Gin Mule, un incrocio tra il Moscow Mule e il Mojito, ma con gin al posto della vodka e ginger beer preparata con una ricetta artigianale, grazie a un cuoco giamaicano dello staff. Il cocktail divenne subito un classico. Ne ideò anche altri: il Jamaican Firefly, versione rivisitata del Dark’n’Stormy, e l’Old Cuban, un Mojito impreziosito da Champagne, rielaborazione di un precedente drink chiamato El Cubano. Julie Reiner, una delle bartender più influenti nel settore, disse: “È la cosa migliore che abbia mai bevuto”.

I clienti apprezzavano, aumentavano grazie al passaparola e tornavano per provare tutto quello che Audrey aveva inventato, ma anche classici come il Sidecar e il Martini o cocktail dimenticati come il Monkey Gland. Non mancavano i fallimenti: lei e i colleghi provarono (e sbagliarono) tutte le ricette ottocentesche dei libri di Jerry Thomas. Ma a nessuno importava: il Beacon era diventato uno dei “place to be” per gli appassionati di cocktail a New York, bastava essere lì.

Poi la Saunders si trasferì al Tonic: le offrirono uno stipendio triplo, e lei accettò. Ma arrivò anche l’11 settembre. E il mondo cambiò. New York intera fu scossa, i locali iniziarono a chiudere (fra questi, lo stesso Tonic) o a cambiare volto. Uno solo restava identico a se stesso: il Bemelmans Bar, dentro il Carlyle Hotel. Storico, elegante, immutabile fino al punto da sembrare fuori dal tempo.

La consacrazione, dal Bemelmans al Pegu

La catena Rosewood, a cui apparteneva, decise che serviva una scossa. Chiamarono DeGroff per riscrivere le regole del bar e aggiornare la carta. E quando il suo contratto finì, gli chiesero chi potesse continuare il lavoro. Lui rispose senza esitazioni: “Ho la persona giusta. È una donna”.

Ma c’era un problema. Il Carlyle era un hotel sindacalizzato. E Audrey non poteva nemmeno avvicinarsi al bancone. I cocktail doveva farli in cucina. I bartender, veterani imperturbabili (il più anziano, Tommy Rowles, lavorava lì dal 1958), la guardavano con sospetto, non avendo alcuna intenzione di cambiare abitudini consolidate da decenni. Ma lei non si arrese: con pazienza, gentilezza e tenacia, conquistò tutti. Anche i più scettici finirono per chiederle consiglio. E così il Bemelmans, senza cambiare arredi, atmosfera e personale, ritrovò nuova linfa. I cocktail migliorarono, i clienti tornarono, il bar riacquistò il suo ruolo centrale.

La definitiva consacrazione di Audrey Saunders arrivò nel 2005: su segnalazione della collega e amica Julie Reiner divenne socia e gestore del Pegu Club, nuovo locale di Manhattan, fra Soho e il Greenwich Village, che per 15 anni si impose fra i più influenti al mondo, punto di riferimento assoluto per la qualità della mixology. Fra le caratteristiche introdotte da Saunders, la possibilità per i gli ospiti di personalizzare i drink in base al proprio gusto, mettendo sul tavolo piccole bottiglie di sciroppo di zucchero, succhi e bitter. Dopo la chiusura del Pegu nel 2020, in piena pandemia, Audrey ha contribuito fra l’altro al libro “The Oxford Companion to Spirits & Cocktails”, pubblicato nel 2021. Oggi, con l’attuale marito, gestisce l’Oxford Companion to Spirits & Cocktails, una sorta di “ritiro” per quanti, come lei, hanno contribuito all’affermazione del craft bar movement, vale a dire gli artefici della cosiddetta renaissance della mixology fra gli anni ’90 del Novecento e l’inizio del XXI secolo.

Se Ada Coleman, bar manager del prestigioso Savoy Hotel di Londra fra il 1903 e il 1926 e creatrice dell’Hanky Panky, fu la prima barlady famosa della storia, ad Audrey Saunders spetta il primato della barlady più influente nella mixology attuale, grazie (anche) ai suoi Gin Gin Mule e Old Cuban (quest’ultimo presente dal 2020 nella lista ufficiale dell’International Bartenders Association-Iba fra i New Era Drinks) e al contributo dato alla riscoperta di un drink di epoca pre-proibizionista, il Last Word, dimenticato per decenni e rilanciato vent’anni fa da lei al Pegu Club e dal collega Murray Stenton allo Zig Zag Cafè di Seattle, fino a indurre l’associazione internazionale dei bartender a inserirlo nel suo ricettario, sempre nel 2020, fra gli Unforgettables.

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La ricetta Iba dell’Old Cuban

Tecnica: Shake and Strain

Bicchiere: coppetta

Ingredienti:
6/8 foglioline menta
45 ml rum invecchiato
22,5 ml succo di lime
30 ml sciroppo di zucchero
2 gocce angostura bitters
60 ml Champagne brut o Prosecco

Garnish: germoglio di menta

Preparazione: shakerare gli ingredienti tranne il vino e filtrare nel bicchiere, quindi completare con lo Champagne o Prosecco ben freddo.

Photo Credits: Nicole Cavazzuti

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