Mattia Pastori si racconta: segreti, aneddoti e consigli del ”Figlio del bar”
Vi avevamo già parlato in questo aritcolo de “Il figlio del bar“, il libro firmato da Mattia Pastori, ma ci eravamo limitati a raccontarvelo, senza alcun commento.
PERCHÉ IL FIGLIO DEL BAR MERITA DI ESSERE COMPRATO
Il figlio del bar è un libro decisamente ben costruito, da leggere tutto d’un fiato dall’inizio alla fine, così come da assaporare in modo disordinato, passando da una pagina all’altra, approfondendo nozioni del mondo della mixology (riportate ai margini delle pagine), ripassando ricette classiche o scoprendo nuovi signature (in tutto, sono 40 le ricette). Ma il volume è anche un modo per entrare nella vita di Mattia Pastori, classe 1984, che in questo libro racconta indirettamente 40 anni di storia del bar attraverso la sua esperienza dall’infanzia a oggi. Un libro, insomma, da leggere e rileggere.
Per parlarvene ancora meglio e invitarvi alla lettura abbiamo incontrato Mattia Pastori a Milano al Bar Stoppani in occasione della festa per il lancio del suo libro. Ecco cosa ci ha raccontato.
L’INTERVISTA A MATTIA PASTORI
Perché hai scelto di presentare il tuo libro al Bar Stoppani?
Perché è il classico bar di Milano fatto bene. Sede in passato di tanti incontri di lavoro, trovandosi accanto alla sede di Aibes.
A proposito di Aibes: da diversi anni il settore, in Italia, è frammentato fra diverse associazioni. Un bene o un male?
Secondo me è positivo: le associazioni sono fondamentali nel nostro lavoro, consentono di incontrare colleghi e condividere esperienze. Più ce ne sono, meglio è.
Nella tua carriera hai preso parte a diverse competizioni di settore, in alcuni casi vincendole: che cosa hanno significato per te?
Esperienze uniche, in particolare le due World Class alle quali ho partecipato: la prima a livello umano, la seconda sul piano della crescita professionale. Grazie alle competition ho avuto modo di entrare in contatto con brand manager e di iniziare a vedere le aziende in un’ottica diversa, legata non più solo alla miscelazione ma anche al valore, alle vendite. Così è nato cinque anni fa il progetto Nonsolococktails, con cui mi dedico alla consulenza.
Oggi su cosa sta lavorando?
Oltre a Nonsolococktails mi occupo di Mulino della Frega, la nostra location per eventi nata dal recupero degli spazi di un’ex discoteca, all’interno di uno storico mulino settecentesco nella campagna pavese, dove esprimiamo il concetto di ospitalità in maniera diversa rispetto a un cocktail bar.
A proposito di discoteche, ci hai mai lavorato?
Solo per una serata. Mi piacque molto, ma i miei mentori mi sconsigliarono di seguire quella strada. Così, andai a fare esperienza all’estero.
Oggi i giovani non vanno più in discoteca e qualcuno dice nemmeno al cocktail bar. Secondo te, cosa si cerca nella fascia d’età tra i 18 e i 25 anni?
Vivono sui social, ma cercano convivialità e socialità. Vanno al bar, ma per socializzare, prima che per bere. E certamente la bevuta deve essere buona, ma prima di tutto devono divertirsi e stare bene.
Che cos’è per te l’ospitalità?
La cosa più importante del mondo. Significa curare, guardare e ascoltare il cliente. Nel caso di Nonsolococktails, l’obiettivo è riuscire a realizzare questo concetto nel mondo della miscelazione partendo dall’ascolto di brief di marketing.
Uno sguardo alle tendenze…
Oggi viviamo la riscoperta della classicità all’italiana, sia nei cocktail (il Negroni è il più bevuto al mondo, lo Spritz è fra i primi 10, l’Americano è tornato di moda) sia per ciò che riguarda servizio e accoglienza. E poi sicuramente c’è la tendenza a riportare il cliente al centro dell’attenzione, farlo divertire e stare bene.
E il low alcol?
Tira tantissimo, così come l’analcolico: in tutto il mondo stanno nascendo locali che si dedicano solo a questo. Da parte nostra, negli ultimi due anni e mezzo abbiamo lavorato al progetto di Oppure, un botanical spirit zero alcool.
l food pairing, invece?
Importante: non esiste bar che venda solo cocktail. Anche perché il cibo consente di aumentare un po’ lo scontrino medio e fa da traino alle vendite dei cocktail.
Negli USA si assiste al boom dei sober bar. Per te è un format economicamente sostenibile in Italia?
Non lo escluderei… dopotutto il classico bar italiano è di per sé un sober bar: magari in tarda serata ti fa anche un Negroni o un Americano, ma per buona parte della giornata serve caffè, cappuccini, Crodino, Sanbitter…
In tutto ciò si moltiplicano i cosiddetti distillati analcolici, come quello a cui hai accennato poco fa, pensati per realizzare cocktail no alcool, però hanno un prezzo paragonabile a quello degli alcolici.
Non potrebbe essere altrimenti: la ricerca e la tecnologia necessarie per la loro preparazione non sono troppo differenti da quelle che occorrono per fare un buon gin o una buona vodka. E di conseguenza non c’è da stupirsi se un buon cocktail analcolico oggi non costa meno di un Gin Tonic.
Quanto sono importanti oggi i social nella comunicazione di settore?
Quanto basta, però è importante essere veri, tanto sui social quanto nella vita reale. Soprattutto nella vita reale, perché tanto, anche se non sei sui social, prima o poi ti ci proiettano!
Il tuo drink preferito?
Martini. In generale, prediligo i pre-dinner.
E quello che proprio non riesci a bere?
Faccio un po’ fatica ad avvicinarmi ai signature estremi e ai drink dalla sapidità elevata.
Tre regole fondamentali per i giovani che vogliono emergere nel mondo del bartending?
Cuore. Testa. E un po’ di culo. Che a volte bisogna andare a cercare.
Che cosa intendi per avere testa?
Significa soprattutto grande disciplina. Se a fine serata ti attacchi al bicchiere o ti dai alle droghe che girano in questo ambiente, sei finito. È importante essere circondati dalle persone giuste, che ti diano modo di crescere nella direzione giusta.
E tu come ti sei “disciplinato”?
La mia grande fortuna è stata di avere sempre avuto vicino mia moglie Erika, l’ho conosciuta a 17 anni ed è stata il mio faro guida. Se ho mantenuto i piedi per terra è grazie a lei.
I piedi per terra, cioè?
Sì, diciamolo! Quando fai il bartender, ci vuole un attimo a sentirsi strafighi e a perdere il contatto con la realtà.
Mattia Pastori al Bar Stoppani per la festa del lancio del suo primo libro – Foto Nicole Cavazzuti