Mixology. Intervista esclusiva ad Oscar Quagliarini

 Mixology. Intervista esclusiva ad Oscar Quagliarini

Oscar Quagliarini è impegnato su più fronti. Il 12 novembre uscirà in libreria la raccolta Herbarium per la casa editrice Feltrinelli, a gennaio pubblicherà il primo romanzo A letto con gli spiriti (l’editore potrebbe essere il Sole 24 Ore) e nei primi mesi del 2025 lancerà con l’amico e collega Antonio Parlapiano (titolare del Serpente di Roma, nonché tra i fondatori del Jerry Thomas) un progetto di sensibilizzazione nei confronti dell’abuso di alcol e drighe. “Vogliamo organizzare una serie di incontri rivolti ai baristi emergenti per informare delle conseguenze di uno stile di vita insano”, puntualizza. Sul palco di Spiritosa Festival Oscar Quagliarini si muove con destrezza, tra aneddoti, riflessioni, battute. E più volte conquista gli applasi della platea.

Oscar Quagliarini che periodo è della tua vita?
Di rinascita. Oggi mi sento in forma, anche grazie agli psicofarmaci a base di litio che prendo da tre mesi. Ma quest’estate ho vissuto due mesi difficilissimi, in balia di una forma importante di ipomania. 

E che cos’è l’ipomamia?
È uno stato d’animo caratterizzato da una esagerata eccitazione, produttività e ottimismo. Per due mesi mi sono sentito sempre a mille, super energico, iperattivo, disinibito. Avevo l’illusione di essere invulnerabile. Lavoravo come un matto e bevevo gin come fosse acqua. 

E poi cosa è successo? 
Che ho davvero esagerato. Ero talmente “up” da arrivare a dormire anche solo 4 ore in una settimana, senza smettere di bere. Per capirci, sono arrivato a consumare una bottiglia di gin a sera.
Facevo cose folli: uscivo per comprare un paio di pantaloni e tornavo con un camper; litigavo con gli amici e creavo grandi casini sul lavoro. 
Lo stress era alle stelle e quando il mio socio si è dileguato con i miei soldi prestati a titolo personale, il mio cervello si è ribellato e ho avuto un crack cerebrale, un burn out. A quel punto sono stato spedito in ospedale. 

Un’esperienza tosta…
Non puoi immaginare quanto! Per tutta la fase di ipomania non mi rendevo conto di essere in preda a un delirio di onnipotenza. Quando in ospedale, tra i colloqui con lo psichiatria e i farmaci, ho iniziato a prendere coscienza dell’accaduto, mi sono spaventato a morte. Non avrei mai pensato di dover ricorrere agli psicofarmaci nella mia vita, ma non voglio rischiare di ricadere in un’altra crisi. Grazie al litio ho un umore più stabile, senza quei picchi di eccitazione insani. 

Hai cambiato anche stile di vita?
Certo. Per prima cosa ho eliminato i distillati e mi concedo solo una birretta ogni tanto. 

Droghe?
Non ho mai amato la cocaina perché soffro di insonnia, ma non posso dire di non avere sperimentato altre sostanze in passato. Il capitolo è chiuso da anni, però. 

Perché me ne parli?
Perché mi sento in dovere di sensibilizzare i bartender più giovani sulle conseguenze di una vita troppo rock&roll. In questa logica organizzerò con Antonio Parlapiano e altri colleghi una serie di incontri in tutta Italia.

Che messaggio vuoi trasmettere?
Che non si può esagerare senza pagarne prima o poi le conseguenze. E che la vita è una sola, va preservata. Bisogna individuare degli obiettivi oltre al lavoro. 

Tu dove hai trovato la forza per reagire e per accettare di farti curare?
Se ho deciso di tornare alla normalità e di farmi curare è stato solo per mio figlio Leon.
Se non ci fosse stato lui non escludo che sarei caduto nel buio. Leon è la mia luce, la mia vera terapia, più del litio che comunque mi aiuta. Lo amo e ho bisogno della sua compagnia.

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Nicole Cavazzuti

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