Baobar Milano affronta un nuovo capitolo della sua storia, con un restyling completo degli interni e una drink list ispirata ai sapori sudamericani. Il locale di via Eustachi mantiene però la propria identità, combinando innovazione e rispetto per le radici. Il bar manager Marco Contarini, classe 1996, spiega la filosofia dietro ogni cocktail e la visione di un team proiettato al futuro.
Il quartiere di via Eustachi si trasforma: fino a circa vent’anni fa la zona ospitava solo pochi bar, ma oggi è caratterizzata da ristoranti, bistrot e cocktail bar. Tra i locali che hanno contribuito a questo cambiamento, Baobar occupa un posto di rilievo, diventando un punto di riferimento e catalizzando l’attenzione della scena milanese.
Una lunga storia tra gestioni e innovazione: Baobar esiste da 17 anni e ha attraversato tre diverse gestioni. Dal 2015, la guida del locale è affidata a Antonio Irene e David Palma, che hanno rilanciato il locale con idee chiare e un approccio moderno. Al bancone, Marco Contarini porta creatività e determinazione, contribuendo a consolidare l’identità del locale e a definire il nuovo corso della sua offerta.
Durante l’estate, mentre Milano si svuotava, David ha colto l’occasione per un restyling completo del locale. Guarda il REEL del nuovo Baobar
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Intervista a Marco Contarini
Marco, da quanti anni sei al Baobar? Da cinque. Sono arrivato quando la gestione di David Palma e Antonio Irene era già avviata.
Quando hai iniziato a lavorare nel mondo del bar? A 17 anni. Ora ne ho 29. Ho fatto tanta gavetta.
A proposito di gavetta, come vedi i giovani bartender di oggi? Diversi. Più attenti agli orari e al guadagno. Io lavoravo per imparare. È cambiato tutto. Ma non è solo colpa loro: lo Stato non aiuta né chi lavora né chi assume.
Nel 2025 il Baobar festeggia dieci anni di questa gestione. Avete in programma qualcosa? Non c’è ancora nulla di definito, ma sì, ci stiamo pensando. Probabilmente faremo qualcosa a febbraio, quando ricorre l’anniversario.
Il lavoro dietro al bancone
In questi cinque anni, qual è stata la maggiore soddisfazione e la difficoltà più grande? Adoro inventare ricette. Mi piace costruire un cocktail da zero, combinare gli ingredienti, dare forma a un’idea. La sfida più complessa è la gestione del team e dell’intero locale: la parte più strategica e organizzativa.
Quando crei un cocktail, ti ispiri ai classici? A volte sì. Altre parto completamente da zero.
E quando non parti da un classico, dove trovi ispirazione? Nel tema del menù. Ogni drink list parte da lì. Prima decidiamo il leit motiv, poi costruiamo tutto il resto.
Impostare il menù su un tema serve ad attirare più clienti? No, non direi. I nostri clienti sono fedeli perché sanno che qui si beve bene. Il tema serve soprattutto a noi: ci dà coerenza, identità. E poi aiuta a raccontare meglio, specie se c’è una buona comunicazione.
Drink list e nuove idee
Qual è il tema della drink list attuale? Il Sud America. È un viaggio che parte dal Messico e arriva alle tribù native. Un’impronta tiki, dolce, estiva.
Quindi drink con tequila, mezcal, cachaça, rum, pisco… giusto? Sì, ovviamente. Abbiamo anche collaborato con alcuni sponsor: Barcelò Il Miglior Rum Dominicano – Ron Barceló per il rum e Coach Mezcal. Li abbiamo integrati nella lista con logiche di vera partnership.
E della prossima lista cosa puoi dirmi? Uscirà a gennaio, ma la testeremo da fine novembre-dicembre. Il tema sarà “L’albero della vita”. Partiremo dalle radici, proprio come abbiamo fatto col locale, che è stato completamente rinnovato. I cocktail saranno ispirati a cortecce, linfa, foglie, frutti. Un lavoro più concettuale, di mixology avanzata.
Parliamo di fermentati, infusioni, cordiali? Esatto. Stiamo alzando il livello.
Pensate che la clientela sia pronta? Sì. Abbiamo la fortuna di avere clienti curiosi e fedeli, che tornano perché si fidano di noi.
Tecnica, formazione, gestione
Ultimamente si vede spesso il tè nei cocktail. Cosa ne pensi? Il tè è molto versatile. Puoi farci uno sciroppo, un liquore, una kombucha. Aiuta ad abbassare la gradazione e aggiunge profondità. Anch’io lo userò in un drink.
Hai detto che gestire il personale è una delle parti più complesse. Qual è il tuo approccio? Mi impongo di essere camaleontico. Per gestire un team occorre capire le persone e adattarsi, sempre mantenendo una linea chiara. Fondamentale è assegnare i ruoli con precisione: ognuno deve sapere cosa fare e lavorare in squadra.
Fate rotazioni tra sala e banco? Sì. Chi entra inizia dalla sala, per imparare a leggere i clienti e il flusso. Dopo circa un mese, lo porto al banco. È importante che sappiano fare tutto, o quasi.
Il nuovo look del Baobar
Parliamo del restyling. Cosa volete comunicare? Le radici. Colori terra, sabbia. Muri color mattone come il deserto. Un’estetica materica, orientale. Minimalista, ma evocativa. Abbiamo due sale: una più orientale, l’altra più anglosassone. Due atmosfere diverse, ma entrambe intime, con luci morbide e toni scuri.
Gusti personali
Il tuo cocktail classico preferito? Un Daiquiri con un taglio di rum agricolo.
Quello che proprio non riesci a bere? Sex on the Beach. Troppo zuccherino.
Il distillato del cuore? Mezcal.
Quello che ami meno? Vodka. Troppo neutra.
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