martedì, Luglio 1, 2025
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Indaco Riccione: da lavanderia a cocktail restaurant bar d’autore

A Riccione, dietro la facciata di un ex Grand Hotel, dove un tempo c’era una lavanderia dai pavimenti ruvidi, oggi si trova Indaco: un fine restaurant cocktail bar unico nel suo genere.

All’inizio non è stato facile. I drink, belli da vedere e sorprendenti da bere, non seguivano il solito cliché e la gente non capiva. Ma i titolari hanno insistito, lavorando ogni giorno con passione e una buona dose di ostinazione.

Poi, la svolta: una foto, un reel, un tag. I social hanno fatto il resto. Perché quando un cocktail arriva al tavolo e fa dire “wow”, finisce nel feed. E oggi il feed è il nuovo passaparola.

Intervista a Francesco Ricci, socio fondatore di Indaco Riccione

Francesco, com’è nato Indaco?
Indaco nasce nel 2019, negli spazi che un tempo erano la lavanderia del Grand Hotel di Riccione, a soli 200 metri da Viale Ceccarini. Ci ha conquistato subito l’atmosfera: un giardino appartato, in pieno centro ma lontano dal caos. Abbiamo voluto preservare l’anima del posto, e si vede ancora nei muri.

Chi c’è dietro il progetto?
Siamo in tre: io seguo il bar, Cinzia Battarra è la chef, e suo marito Luca Gallucci è il direttore di sala.

Quali erano le vostre esperienze prima di Indaco?
Io vengo dal mondo Planet One. Con Luca, mio socio da 12 anni, avevamo già un locale a Riccione: il Flamingo, uno stabilimento balneare che di sera si trasformava in discoteca con dj set e drink a fiumi.
Cinzia, invece, ha una formazione solida: è stata la seconda di Igles Corelli e ha scritto un libro con lui. L’abbiamo conosciuta quando è tornata a Riccione e l’abbiamo voluta con noi al Flamingo.

Perché avete deciso di lasciare Flamingo?
A un certo punto ci siamo chiesti: è davvero questo ciò che vogliamo fare? La risposta è stata no. Così è nata l’idea di Indaco. Una scommessa vera: se funzionava, bene; se no, avremmo chiuso. Ma con una certezza: non snaturare mai il progetto.

Come ha reagito Riccione all’apertura di Indaco?
È stata dura. Riccione non era pronta. Eravamo noti per un altro tipo di locale, quindi abbiamo volutamente evitato di metterci la faccia. Insegna piccola, zero pubblicità, solo passaparola. Abbiamo fatto di tutto per non attirare la vecchia clientela del Flamingo.

Com’è la situazione oggi?
Oggi stiamo in piedi: paghiamo l’affitto, i dipendenti e anche noi abbiamo il nostro stipendio. Ma soprattutto, facciamo ciò che ci piace. E lavorare con questa passione condivisa è una fortuna rara.

I social quanto vi hanno aiutato?
Moltissimo. Quando abbiamo aperto, in città sono nati altri quattro locali. Era il periodo dei drink minimal: bicchieri sottili, nessuna decorazione. Io, invece, sono sempre andato controcorrente. Non per moda, ma perché è il mio stile.

Cosa intendi per controcorrente?
Per me un drink deve essere buono, certo, ma anche bello da vedere. Ho creato presentazioni originali, un po’ kitsch, seppur con gusto. Oggi il banco è più essenziale, ma l’effetto “wow” c’è ancora.

Quindi si può dire: kitsch sì, ma con stile?
Sì, esattamente. Anche una semplice penna rossa può diventare un elemento di scena, se c’è coerenza con quello che siamo. 

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