Nel cuore del Born, a Barcellona, si cela un locale dove il concetto stesso di cocktail bar viene completamente ridefinito. Qui, dietro il bancone, le bottiglie appaiono nude, private delle loro etichette commerciali, mentre il menu ricorda più una carta astronomica che una semplice lista di drink.
Si tratta del Dr. Stravinsky, classificato al 48esimo posto tra i migliori bar al mondo nel 2024.
L’esterno non tradisce minimamente la straordinarietà che si nasconde all’interno. L’ingresso appare sobrio, quasi invisibile, se non fosse per il distintivo dei 50 best bars e la presenza del selezionatore che controlla gli accessi.
Oltrepassata quella soglia, tuttavia, l’esperienza si trasforma: ti ritrovi immerso in un’atmosfera carica di enigmi, aromi speziati e pura alchimia.
Dr. Stravinsky
Aperto nel 2017 sotto l’egida del Gruppo Confiteria (già responsabile di aver disseminato Barcellona con cocktail bar di prestigio internazionale come Paradiso e Monk), Dr. Stravinsky rappresenta la sintesi ideale tra un’antica spezieria e un laboratorio contemporaneo.
Ma non si tratta di mero design. Non è semplice estetica. È un manifesto. È sperimentazione. È una ribellione contro la banalità. In questo spazio non ci si limita a combinare elementi: si forgiano esperienze sensoriali, si sovvertono le regole consolidate, si scandaglia l’essenza più profonda dei gusti.
L’ottanta per cento degli ingredienti nasce direttamente tra queste mura. Proprio così, ottanta per cento. Fermentazione, macerazione, chiarificazione, metamorfosi continue. Ogni cocktail rappresenta un’odissea, una narrazione, un concetto spinto fino alle sue conseguenze più audaci.
L’intervista
Mi ha colpito molto la scelta di eliminare i brand alle spalle del barman. Prima d’ora avevo visto una bottigliera simile solo da Filippo Sisti al Talea di Milano (nel 2018).
È vero, è raro. Tutti espongono le bottiglie con i marchi. Noi no, perché vogliamo spostare l’attenzione. Mi spiego: se vedi una etichetta nota, ordini quella senza pensarci. Così invece sproniamo il cliente a leggere il menu, a lasciarsi incuriosire e guidare.
Una scelta radicale, coerente con il vostro originale menù…
È un piccolo cosmo. Ogni pianeta rappresenta un gusto – dolce, amaro, fruttato, umami – e ogni stella un cocktail. Se ti piacciono certi sapori, segui la linea tra i pianeti e scopri i drink che li interpretano. È un gioco, ma anche uno strumento utile.
Se vuoi davvero scoprire cosa ti piace, quel percorso ti aiuta. Da noi entri, ti lasci guidare e noi ti accompagniamo.
E se uno chiede un Gin Tonic?
Gli diciamo che non lo facciamo. Niente Cuba Libre, Gin Tonic, Vodka Tonic o birra. Niente bibite industriali. Lavoriamo con quello che produciamo o scegliamo.
I classici li fate, su richiesta?
Sì, se possiamo farli con gli ingredienti che ci rappresentano. Devono stare nel nostro mondo.
Anche perché il vostro lavoro sugli ingredienti è molto profondo. Mi racconti dell’uso del burro nei drink?
È uno degli ingredienti chiave. Infondiamo la panna con sei spezie e un tocco di guasave, poi la trasformiamo in burro. Lo usiamo in cinque cocktail diversi, con tecniche diverse. L’aceto lo otteniamo da una doppia fermentazione, e anche il formaggio di capra è fatto con una nostra ricetta: mele verdi, polline d’api, anice. Stagiona 25 giorni.
Un approccio che somiglia sempre di più a quello della cucina.
In parte, sì. Facciamo molta ricerca. Ma alla fine conta una sola cosa: il drink dev’essere buono. Altrimenti il resto perde di significato.
C’è un drink in particolare che per voi è diventato un riferimento?
Sì, un cocktail che teniamo in carta da otto anni. È agrumato, secco, dolce ed erbaceo. È talmente richiesto che non l’abbiamo mai tolto dal menù.
Siete molto attenti anche alle nuove tendenze. Una su tutte: i drink low alcol.
Abbiamo 21 cocktail in carta. Di questi, 7 possono essere fatti analcolici e 10 hanno una gradazione alcolica bassa. Prima ne avevamo tre. Ora l’offerta è cresciuta, e funziona.
Com’è il vostro pubblico?
Molto vario. Locali, turisti, gente che passa e poi torna. E molti si portano via una maglietta, un cappello. Un pezzo materiale di un’esperienza immateriale.
Chiudiamo con una domanda semplice, ma non banale. Per te un cocktail è…?
Un atto di fiducia. Una miscela che può cambiare l’umore o la giornata. È tecnica, certo, ma anche visione. Come l’arte. Come la cucina. Come la scrittura.
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