Tra i tetti di Roma, dove la luce accarezza i palazzi storici e il tempo sembra rallentare, ha riaperto le porte l’Ambrosia Bar, all’ultimo piano dell’Hotel Artemide. A pochi passi dalla redazione de Il Messaggero, questo rooftop elegante e rinnovato mescola sapientemente vista mozzafiato, mixology d’avanguardia e arte dell’accoglienza.
Aperto tutto l’anno, Ambrosia Bar punta su una miscelazione sofisticata, con proposte a bassa gradazione alcolica pensate per un consumo responsabile e inclusivo.
Hotel Artemide in pillole
Boutique hotel, ha tre punti forti. Intanto, le camere curate in ogni dettaglio, pensate per chi cerca il relax senza rinunciare allo stile.
E poi, la posizione. Basta uscire e sei già tra le meraviglie dell’Impero romano: tutto è a portata di passo.
Last but not least, la terrazza all’ultimo piano con un ristorante dove la cucina italiana classica è rivista con creatività, equilibrio e audacia e un bar guidato da Maurizio Zuddio, mixologist di esperienza e visione, che ci ha raccontato la nuova proposta dell’Ambrosia.
L’intervista a Maurizio Zuddio
Ambrosia è un nome importante, carico di simbologie. Perché il bar si chiama così?
Perché, come nell’antica Grecia, l’ambrosia era riservata agli dei, ma oggi vogliamo offrirla a tutti. Dopo una profonda ristrutturazione, il bar ha riaperto con una nuova terrazza, ma senza cambiare filosofia.
Ovvero?
Accogliere, non semplicemente servire.
E che significa davvero, oggi, accogliere un ospite?
Significa ascoltare. E guidare. Vuol dire dare consigli su dove mangiare, cosa vedere, come muoversi a Roma. L’accoglienza, oggi, è più simile a un’arte oracolare che a una mansione alberghiera.
Clientela internazionale, VIP, ma anche romani di quartiere. Come si crea fedeltà in un mondo così fluido?
Con coerenza e passione. Il mio lavoro è un esercizio continuo di traduzione: del gusto, delle emozioni, delle attese.
La nuova lista dei cocktail è ispirata agli dei greci. Un gioco mitologico o un racconto con intenti più profondi?
Entrambe le cose. Ogni proposta racconta una divinità. Efesto, ad esempio, è un sour ruvido e dolce insieme, come il dio artigiano. Apollo è luminoso, quasi epifanico: liquore al fico, agrumi affumicati siciliani, un tocco di zafferano. Hermes evoca il movimento e la trasversalità con lo shiso – menta giapponese – insieme a zafferano, yuzu, origano e basilico.
Il concetto di “less is more” in mixology non ti appartiene…
Diciamo che il mio è un approccio fusion consapevole, sempre nel nome dell’armonia. In caso di Hermes, lo yuzu seduce il palato urbano, lo zafferano richiama il Mediterraneo profondo. E la tonica all’origano e basilico è la nostra risposta liquida alla dieta mediterranea. È questione di equilibrio: ogni ingrediente ha un senso, un perché narrativo e gustativo.
Il menu include molte creazioni a basso tenore alcolico. Scelta salutista o strategica?
Entrambe. Da un lato rispondiamo a una sensibilità crescente verso il bere consapevole. Dall’altro, è una scelta strategica: un contenuto alcolico moderato consente più consumo senza eccedere. Come diceva Calvino, la leggerezza non è superficialità, ma profondità di sguardo.
E in questo sguardo, c’è spazio per la bellezza, per la conversazione, per il ritorno. Non basta stupire una volta: bisogna dare voglia di tornare. Questo è il vero segreto dell’ospitalità.
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