Segreti nel bicchiere: che cosa c’è dietro ai nomi di cinque grandi cocktail cult

 Segreti nel bicchiere: che cosa c’è dietro ai nomi di cinque grandi cocktail cult

Hanky Panky, Boulevardier, Vieux Carré, Monkey Gland e Tommy’s Margarita sono cinque drink dalle origini lontanissime fra loro, ma ricchi di storie e leggende affascinanti e poco conosciute.

HANKY PANKY

Dietro l’Hanky Panky c’è una donna leggendaria, Ada Coleman, la prima barlady a essere entrata nella storia della miscelazione. Dal 1903 al 1926, quando ancora molti ritenevano che bar e cocktail fossero “cose da uomini”, fu head bartender del lussuoso Hotel Savoy di Londra dove, grazie alla sua bravura ma anche alla sua simpatia e alla sua personalità solare, conquistò la fiducia e l’amicizia di tanti vip provenienti da tutto il mondo che frequentavano il prestigioso hotel: politici, uomini d’affari, scrittori e divi del teatro e del cinema. Fra questi, sir Charles Hawtrey, all’epoca famoso attore comico e grande appassionato di cocktail: fu proprio per lui che “Coley”, come la chiamavano i clienti più affezionati, inventò attorno al 1923 questo cocktail a base di gin, vermouth e Fernet Branca. Per una volta, non dobbiamo affidarci alla leggenda per risalire all’origine del nome Hanky Panky – che in inglese significa “ingannevole”, “truffaldino” -, dato che fu lei stessa a raccontarla, un paio di anni dopo, in un’intervista a The People: “Il compianto Charles Hawtrey era uno dei migliori giudici di cocktail che abbia mai conosciuto. Anni fa, dopo il lavoro, aveva l’abitudine di venire al bar a bere qualcosa. Con lui passavo ore a sperimentare miscele finché non riuscivo a realizzare un nuovo drink. Una sera gli proposi di provare una mia nuova creazione. La bevve e alla fine esclamò: ‘By Jove! That is the real hanky panky!’”. L’espressione può essere resa più o memo come “Per Giove, questo è la vera stregoneria!'”.

BOULEVARDIER

In questo caso, non ci sono interviste “ufficiali” sulle origini del cocktail e del suo nome, tuttavia la ricetta del Boulevardier che conosciamo oggi venne pubblicata dal grande bartender Harry MacElhone nel suo “Barflies and cocktails” del 1927, in cui ne attribuisce la creazione all’amico e cliente Erskine Gwynne Guin. Questi, nipote del magnate delle ferrovie d’Oltreoceano Alfred Vanderbilt, era uno scrittore americano espatriato durante il Proibizionismo a Parigi, dove era editore di un mensile di moda che si chiamava proprio The Boulevardier. Nella capitaòe francese frequentava assiduamente i locali notturni come l’Harry’s New York Bar di MacElhone. Dunque, la nascita di questo cocktail e del relativo nome non si deve a un barman ma a un cliente: una caratteristica che, curiosamente, accomuna il Boulevardier al Negroni, del quale viene a volte ritenuto – erroneamente – una variante data la somiglianza fra le due ricette, basate entrambe su parti uguali di bitter e vermouth a cui si aggiunge il bourbon per il primo e il gin per il secondo.

VIEUX CARRÈ

Con l’espressione vieux carré (in italiano “piazza vecchia”), la popolazione francofona di New Orleans indica tradizionalmente il quartiere francese della città della Louisiana. Proprio quello in cui questo cocktail fu inventato, attorno al 1937, da Walter Bergeron, capo barman dell’Hotel Monteleone Cocktail Lounge, usando rye whiskey, cognac, vermouth e Benedectine. L’hotel esiste ancora oggi, così come il bar. Quest’ultimo, però, dal 1949 si chiama Carousel, a seguito dell’installazione al suo interno di un’isola circolare girevole (un carosello, appunto) dotata di 25 sgabelli, sui quali sorseggiare un cocktail (magari proprio un Vieux Carré) nei 15 minuti impiegati da questa specie di giostra per compiere un giro completo.

MONKEY GLAND

A chi mai sarà venuto in mente di chiamare un cocktail “testicoli di scimmia”, traduzione letterale di monkey gland? Risposta: al già citato Harry MacElhone, che creò questo drink nel 1920 nel suo Harry’s New York Bar di Parigi. Il singolare nome fu una dedica da parte del noto barman al lavoro del dottor Serge Voronoff, famoso all’epoca per i suoi studi su un controverso metodo di ringiovanimento per uomini, basato sull’innesto di testicoli di scimmia. Nonostante le grandi aspettative la cura, sperimentata su alcuni anziani francesi, si rivelò tuttavia fallimentare. Oggi ci resta la ricetta del cocktail ispirato a quella vicenda, con gin, assenzio, succo d’arancia e granatina: non ha effetti rinvigorenti sulla virilità né allunga la vita, però è una bella “botta” di energia.

MONKEY GLAND al WHITE RUBBIT di Milano. Foto di N. Cavazzuti

TOMMY’S MARGARITA

Il Tommy del nome di questo drink altri non è che il padre di Julio Bermejo, oggi bartender di grande fama nonché ambasciatore del tequila nel mondo, nominato in Messico dalla Cámara Nacional de la Industria Tequilera e dal governo dello Stato di Jalisco. Verso il 1990, Bermejo creò il Tommy’s Margarita al bancone del Tommy’s Restaurant, il locale di San Francisco di proprietà dei genitori, Tommy ed Elmy Bermejo, rielaborando la ricetta del classico Margarita sostituendo il triple sec con lo sciroppo di agave, che va ad aggiungersi a tequila e succo di lime. Tommy’s Margarita, quindi, è il Margarita del Tommy’s Restaurant, ancora oggi destinazione di culto per gli amanti del tequila, vista anche la fama di locale con il più vasto assortimento di etichette di questo distillato in tutti gli Stati Uniti.

Testo a cura di Nicole Cavazzuti e Stefano Fossati

Fonte: Horecanews.it

Nicole Cavazzuti

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