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Low alcohol, high profile: Anastasia Kovrigina racconta Baldoria Vermouth

Fino al 13 aprile, Firenze si è fatta liquida. La città del Rinascimento ha accolto una nuova ondata di creatività grazie alla Florence Cocktail Week, una sette giorni di eventi diffusi, masterclass, tasting e guest shift che ha coinvolto 60 tra i migliori cocktail bar e bar d’hotel del capoluogo toscano. Ideata e diretta da Paola Mencarelli, la kermesse è stata una celebrazione dell’arte della miscelazione in tutte le sue sfumature.

È stato proprio al Move On, davanti al Duomo di Firenze, che ho conosciuto Pietro Garofano, titolare dell’Antica Velathri Caffè di Volterra, e ho avuto il piacere di assaggiare Demetra, un twist elegante e aromatico sul Martini Cocktail. La ricetta? 55 ml di GinArte, 15 ml di Vermouth Rosso Baldoria, un bar spoon di bitter homemade alle spezie e agrumi, completato da una skin di polvere di semi di anice, finocchio, menta ed eucalipto.

A raccontarmi l’universo del Vermouth Baldoria è stata Anastasia Kovrigina, responsabile commerciale per la Toscana, voce appassionata e consapevole di un progetto nato in Piemonte ma con respiro internazionale. Con lei parliamo di mixology contemporanea, tendenze low alcohol e strategie di territorio. Una lettura ideale per bartender, appassionati di cocktail e professionisti del settore beverage.

 

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L’INTERVISTA

Anastasia, cominciamo con te: qual è il tuo ruolo all’interno di Baldoria?
Da ottobre sono responsabile vendite per la Toscana di Vermouth Baldoria. Mi occupo di presentare e far conoscere il nostro prodotto, curando i rapporti con locali, enoteche e professionisti del settore.

Che storia ha Baldoria alle spalle?
Il marchio nasce nel 2018, ma la storia dei fondatori risale al 2011, quando hanno avviato il liquorificio Argalà, in Piemonte. Piero Nuvoloni Bonnet ed Enrico Giordana, i due titolari, sono esperti distillatori e hanno trasferito questa esperienza anche nel mondo del Vermouth.

Quante referenze avete oggi in gamma?
Attualmente 11, suddivise tra una linea classica – rosso, bianco e dry – e una linea più contemporanea, dove ci piace sperimentare con ingredienti inusuali.

Raccontaci di una referenza speciale che avete portato qui stasera.
Oggi stiamo servendo il nostro Verdant, il vermouth più fresco della linea. È leggermente più dolce rispetto a un dry tradizionale e include ingredienti come acetosella e sommacco, che gli danno una nota vivace, primaverile. È uno degli elementi chiave del cocktail Black & Verdant in lista questa sera.

Interessante. Mentre qual è la referenza più recente?
Proprio questo mese è uscito il nostro Vermouth al caffè. Lo abbiamo presentato in modo simbolico con una formula tipo “caffè sospeso”: durante la Florence Cocktail Week, a chi presenta un token alla Ditta Artigianale Carducci di Firenze, offriamo un assaggio gratuito.

E prima del caffè?
La decima referenza è stata la Wild Plum, realizzata con prugna selvatica delle Alpi Marittime. È una limited edition, perché il frutto non si trova ogni anno, quindi seguiamo i ritmi della natura.

Avete una referenza che colpisce per originalità: il dry umami. Di cosa si tratta?
È un dry con un twist: alla terza macerazione aggiungiamo fungo porcino secco e alga kombu. L’umami è il quinto gusto e dà un profilo sapido e strutturato, perfetto per cocktail complessi e per Bloody Mary reinterpretati.

Dove viene prodotto il vostro vermouth?
A Boves, in provincia di Cuneo. Non seguiamo la ricetta torinese classica, ma abbiamo un nostro approccio piemontese contemporaneo.

E per chi vuole acquistarlo a Firenze?
Si trova, ad esempio, all’enoteca Alessi, dietro al Duomo. Sono bravissimi nella selezione e forniscono anche molti hotel e locali della zona.

Come promuovete il prodotto in Italia?
Puntiamo su figure locali che conoscano bene il territorio. Io, ad esempio, mi muovo in Toscana. Il contatto diretto, la degustazione, il racconto del prodotto sono fondamentali. Non sono una brand ambassador ufficiale, ma nel mio lavoro la promozione è parte integrante.

Come ti approcci ai clienti?
L’ascolto è il primo passo. Capire in che tipo di locale mi trovo, che tipo di clientela hanno, cosa può interessare. Poi propongo un assaggio, di solito liscio, ma se c’è occasione anche miscelato.

Questi vermouth sono pensati anche per essere gustati da soli?
Sì. Alcune referenze sono perfette lisce, come il rosso dry, che ha solo il 5% di zucchero ma una grande complessità aromatica. Tutti i nostri vermouth hanno 18 gradi alcolici, quindi sono ottimi anche in ottica low alcohol.

Come vedi il futuro del Vermouth in Italia?
C’è un ritorno all’interesse per i prodotti leggeri, low ABV, che si bevono bene anche all’aperitivo. Il Vermouth è perfetto per questo. Inoltre, essendo a base vino, offre possibilità infinite di variazione, mantenendo una connessione con la tradizione.

E l’estero? Gli Stati Uniti sono un mercato importante?
Sì, esportiamo anche lì, ma non seguo direttamente quelle dinamiche. Sicuramente gli USA sono un mercato molto ricettivo verso i prodotti italiani come amari e vermouth.

Che ruolo può giocare Firenze in questo percorso?
Firenze è una città turistica, con una forte cultura dell’ospitalità e cocktail bar di livello. È un luogo ideale per far conoscere un prodotto come il nostro, che ha un forte legame con il territorio ma anche una visione moderna.

Foto di Nicole Cavazzuti

Leggi l’articolo anche su Horecanews.it e FoodyBev.com

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