Intervista a Roman Zapata, due volte campione del mondo Iba di flair
Per il secondo anno consecutivo, Roman Zapata ha vinto il Wcc-World Cocktail Championship, il campionato del mondo dell’International Bartenders Association (Iba), nella categoria Flair. E, a 33 anni, si avvia a diventare una vera leggenda del bartending acrobatico a livello internazionale. Nato in Argentina, sotto i cui colori gareggia nelle competizioni, è cresciuto professionalmente in Italia per partire poi alla conquista dei più importanti trofei di flair in tutto il globo: “Da circa un anno risiedo a Francoforte per motivi di lavoro ma mi sento in gran parte italiano, ormai, pur restando molto legato all’Argentina, dove ho trascorso l’infanzia e l’adolescenza“, ci racconta. E infatti il pubblico di casa nostra non gli fa mai mancare il sostegno, nelle gare che contano.
Come al Wcc Iba 2023, a Roma un anno fa. E pazienza, se quest’anno a Madeira si è confermato numero uno al mondo spuntandola nell’appassionante sfida proprio con il concorrente italiano Michael Moreni, altro fenomeno del flair, classificatosi secondo: “Un grande avversario. Non a caso, attualmente io, Michael e Deniss Trifanovs (secondo nel flair al campionato Iba dello scorso anno, ndr) ci spartiamo le vittorie nelle grandi competition mondiali di settore“, continua Roman, senza falsa modestia ma senza mai perdere un briciolo della sua semplicità e simpatia. E senza nascondere l’emozione per il titolo appena (ri)conquistato: “Un sogno che diventa realtà, vincere questa competizione per la seconda volta consecutiva, per me che sono cresciuto guardando le gare dei campionati mondiali Iba su YouTube… Ho lavorato duramente per raggiungere questo risultato, sia nella produzione dello show, puntando all’interazione col pubblico, sia nella preparazione del cocktail, che nelle gare Iba di flair ha un peso importante nella valutazione finale”.
Lo abbiamo incontrato proprio a Madeira poco dopo la gara, per capire come si diventi pluricampioni del mondo di flair. Trovandolo praticamente con la valigia in mano, già pronto a volare dall’altra parte del continente per un’altra competizione mondiale.
“Ho smesso di bere da un anno e ho cambiato regime alimentare per prepararmi alla gara”
Hai appena conquistato il mondiale di flair Iba per il secondo anno e sei già in partenza per una nuova sfida?
Il campionato Iba è stata la prima tappa di una sorta di “tour” di cinque gare concentrate nell’arco di 20 giorni, in cui dovrò ancora difendere dei titoli: giusto il tempo di ripassare i movimenti e l’11 novembre mi aspetta la finale della World Flair Association a Londra, una delle tre associazioni mondiali del settore con Iba e Fba. Anche lì me la gioco con Michael Moreni. E nelle due settimane successive gareggerò fra Cipro, Polonia e Bucarest in Romania.
Come ti sei preparato e come hai cambiato il tuo stile di vita per la competition di Madeira?
Ho smesso di bere un anno fa. Intendiamoci, non ho mai avuto problemi di dipendenze da alcool o quant’altro, ma ho deciso di smettere totalmente per allenarmi ancora di più e sentirmi meglio col mio corpo. Ho anche cambiato regime alimentare. Insomma, mi sono davvero concentrato sull’obiettivo: non so quanti anni ancora potrò mantenere questi livelli, quindi ho preso l’impegno nella maniera più responsabile possibile.
“Tanto allenamento ma anche consapevolezza dei propri limiti”
In generale, quanto tempo dedichi all’allenamento prima delle gare?
Partecipo a tantissime gare, quindi in pratica sono quasi sempre sotto allenamento nel corso dell’anno. Quanto? A 33 anni e con la tecnica che ho sviluppato negli anni passati, la fatica si fa sentire dopo gli allenamenti, di conseguenza devo prendermi anche dei giorni di riposo: mediamente mi alleno quattro giorni alla settimana, tra le quattro e le sei ore al giorno.
Come si stabilisce l’equilibrio ideale fra allenamento e riposo?
Non c’è una regola valida per tutti, è importante conoscere il proprio corpo: non siamo tutti uguali fisicamente e non abbiamo tutti la stessa resistenza. Quest’ultima si sviluppa nel tempo ma è fondamentale essere sempre consapevoli di quali siano i propri limiti, per non procurarsi infortuni che possono imporre lunghi periodi di stop o addirittura mettere fine alla carriera.
Ne hai mai subiti, di infortuni?
No, al massimo qualche taglio per l’esplosione di una bottiglia…
“Il flair è sempre più popolare nel mondo”
Dopo lo stop della pandemia, negli ultimi anni il flair vive un grande ritorno di popolarità.
È vero, è tornato ai livelli di dieci anni fa: ci sono competizioni che hanno innalzato notevolmente il livello, tanti sponsor importanti interessati a dare visibilità alle loro bottiglie attraverso questa disciplina. Che, sebbene ancora di nicchia, attrae un pubblico sempre più ampio nel mondo. Tanto che, a volte, mi capita di trovarmi in un Paese in cui non ero mai stato prima e trovare persone che mi conoscono!
A proposito di bottiglie: nella pratica del flair, ce ne sono di più o meno facili da maneggiare?
Sì, le più ostiche sono quelle con la base larga e quelle con il collo allungato senza spalle. Ma possono trasformarsi in uno stimolo per la creatività: un mese fa, in una gara a Las Vegas, dovevamo usare per 20 secondi la bottiglia di un noto marchio di tequila, dalla sezione quadrata e senza collo. Per farlo, ho creato un movimento inedito, mai fatto prima. Per i classici movimenti di routine, la bottiglia ideale è da 70/75 cl, a sezione tonda, con corpo abbastanza alto e spalle che lo uniscano a un collo lungo, che trattengono il liquido e impediscono che fuoriesca nel corso delle acrobazie.
Quanto liquido c’è in una bottiglia usata in gara?
Dipende, di solito il 51% del volume della bottiglia nel working flair e mezza oncia nell’exhibition flair.
Un tempo si diceva che un flair bartender è bravo a dare spettacolo, ma non a miscelare drink…
Stereotipo anni ’90 del tutto superato. Oggi i cocktail flair sono allo stesso livello di quelli della miscelazione classica e spesso sono frutto di mixology d’avanguardia, come dimostrano le tante ricette originali create in base alle richieste specifiche di ogni gara e degli sponsor.
“Pensavo di essere arrivato al limite della carriera, ma evidentemente non è così”
Quali sono le differenze nell’approccio al flair fra Europa e Stati Uniti?
Negli Usa ci sono molti flair bar e in certi posti, come a Las Vegas, un bartender raddoppia regolarmente lo stipendio grazie alle mance, che lì sono una prassi pressoché obbligata. Così, se da noi le possibilità per un flair bartender si concentrano soprattutto in eventi e feste private, là questa disciplina trova molto spazio anche dietro il bancone. Per quanto riguarda le competizioni, sta finalmente tornando alla ribalta la Flair Bartenders’ Association (Fba), terza associazione di categoria, che un tempo organizzava gare molto importanti nel Nord America, prima di interrompere queste attività dopo il 2008.
Non ti piacerebbe lavorare a Las Vegas?
Era il mio sogno quando iniziai, a 21 anni. Ma oggi ne ho quasi 34 e non so se avrei la forza di reggere quei ritmi, shift da otto ore per cinque o sei giorni su sette… Peraltro non avrei il tempo di allenarmi per le gare e rischierei pure di infortunarmi.
Fino a che età si può rimanere ad alti livelli in una specialità come questa, a metà strada fra arte e sport?
Non lo so, pensavo di essere ormai arrivato al limite ma evidentemente non è così, grazie al fatto che mi sono preso cura del mio corpo.
Del resto, per essere competitivo nel flair devi necessariamente importi una grande disciplina, cosa non sempre facile nel mondo del bartending in generale…
Sì, ma non è solo questo: ho visto tante persone distruggersi con l’alcool e mi hanno fatto capire che la vita è troppo breve per sprecarla in quel modo. Certo, con l’alcool ci lavoro, ma cerco sempre di sensibilizzare a un consumo responsabile. Mi piace pensare che ordinare un cocktail debba essere come ordinare un piatto al ristorante: un momento di piacere, magari la scoperta di nuovi sapori, non una scorciatoia verso l’abuso di alcool.
In sintesi, quali sono i tre elementi necessari per emergere nel mondo del flair?
Servono creatività, disciplina e allenamento. Molto allenamento.
Testo a cura di Nicole Cavazzuti e Stefano Fossati
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